Dirigenti dell'Associazione Lo Specchio di Alice

“Lo Specchio di Alice”
Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDi
versità"
Sede Sociale: presso Presidente
Dott.ssa Giuseppina Rossitto
Via Bellinzona 34
40135 Bologna
Codice Fisc. 91173810374

e mail: giuseppina.rossitto@gmail.com
e mail: rossitto.direttorequaderni@gmail.com

Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto
Vice-Presidente: Dr. Wilko Mattia Artale
Segretario: Dott.ssa Mirna Magnani
Consigliere: Prof.Federico Palmonari
Consigliere: Prof. Angelo Fortuna

Lo Specchio di Alice

Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDiversità" - APS

Associazione culturale di promozione sociale fondata nel 1998 a Bologna. Obiettivo dell’associazione è valorizzare le diversità di pensiero in momenti creativi unitari. Gli strumenti attraverso cui opera sono: I cenacoli di scrittura collettiva, narrativa e poetica, laboratori di idee che si concretizzano nella pubblicazione di romanzi collettivi; la Rivista bimestrale Quaderni-Incontri per Riflettere, che favorisce il confronto di scrittori, poeti, pittori, fotografi, musicisti e autori creativi di tutte le arti, che vogliono dare un contributo alla riflessione su temi di interesse individuale e sociale. Numerose sono le conferenze, i convegni e le presentazioni di libri di soci. La qualità di socio si acquista con il tesseramento e la partecipazione attiva alle iniziative di sperimentazione narrativa, poetica e pittorica. Le attività culturali sono gestite in regime no profit. La sede dei cenacoli è a Bologna.

Blog: http:// movimentoletterariounidiversita.blogspot.com

Per informazioni: Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto

- cell. 349 4969393 tel. 051 6447608 (ore serali)

e-mail: giuseppina.rossitto@gmail.com

RIVISTA QUADERNI ORGANO DELL'ASSOCIAZIONE

DIRETTORE EDITORIALE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO

ROMANZI COLLETTIVI

CURATRICE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO


mercoledì 10 dicembre 2014

IL MOVIMENTO LETTERARIO UniDiversità
Associazione culturale Lo Specchio di Alice

PRESENTA

GIUSEPPINA ROSSITTO
Vestita di carta pensante
Raccolta poetica

in produzione limitata e numerata
esce con 6 copertine artistiche 
dell'autrice
che illustrano il pensiero poetico delle donne










Introduzione

Un tempo scrissi: La poesia per la poesia/ non per me, non per voi/ tuttavia, so che vi troverete/ qualcosa anche di voi/ oltre al mio sentire. Ne sono ancora convinta: la poesia ha vita propria, ma è anche l’espressione di una dimensione intima del poeta, un’eredità che egli destina e affida al mondo che lo circonda.
Questo libro è frutto di diversi anni di riflessione. Parecchie poesie sono state pubblicate sulla rivista Quaderni, che dirigo, o in diversi romanzi; ho pensato di riunirle perché esprimono un percorso di ricerca tematica. Ho detto “diversi anni”. Ebbene, lo confesso: penso che la poesia mal si adatti alla penna e al foglio facili, alla quotidianità. Amo il passare ritmato del tempo, il pensiero riflessivo e non solo intuitivo. Questo mi consente di ricordare ogni verso, la dinamica della nascita, del divenire, i luoghi in cui mi sono fermata e ho tirato fuori il taccuino per appuntare sensazioni destinate, poi, a essere rimeditate, riformulate, formalizzate sopra una base robusta di tavolo.
Quando parlo di luoghi dove nascono i versi, mi riferisco soprattutto alle strade che percorro ogni giorno. In verità, questa raccolta avrei voluto intitolarla: La città che vedo e parla. Poi, ho meditato sul messaggio che volevo trasmettere, proprio fin dal titolo, e ho optato per: Vestita di carta pensante.
 Del vecchio titolo ho mantenuto la struttura in quattro sezioni: I. Nel lento andare, il pensiero che corre; II. Poema di una via che conduce ad altre vie; III. La città che vedo e parla; IV. Memorie e ombre dei luoghi che si perdono; nel nuovo, ed effettivo titolo, c’è invece la vera costruzione ed elaborazione del pensiero poetico che mi ritrae.
Il mio primo vestito è la pelle, che protegge e nasconde ogni muscolo, ogni nervo e la struttura ossea che mi sorregge. Essa può apparire coriacea, e invece è sensibile al calore, di cui fa scorta per distribuirlo con generosità. Non ho eccessiva cura nella scelta dell’abito che ricopre la mia pelle ogni giorno; non amo le preziosità, le stravaganze, piuttosto la creatività leggera. L’attenzione è al vestito delle occasioni; esso è realizzato con materiale leggerissimo, di carta pergamena, arrotolata e legata con fili di canapa e viole. Il colore che amo è il wiola (la w doppia è una licenza che mi serve per coniare una sigla). Ogni piega di questo abito custodisce un pensiero, ma per poterlo conoscere occorre sciogliere il nodo, srotolare la pergamena, respirare il profumo delle viole e infine leggere e lasciarsi trasportare dai messaggi che troverete.
Tutto questo vi sembra troppo femminile? Perché no! La narrativa e la poetica sono per me sostantivi femminili plurali. Nessuno pensi a un difetto di fattura, è uno stile ricercato e voluto.
Giuseppina Rossitto


















Biografia dell'Autrice


Giuseppina Rossitto: nata ad Avola (SR) nel 1955, risiede dal 1981 a Bologna. Dopo la laurea in Scienze Politiche, si dedica alla ricerca bibliografica, giuridica, economica e storico-sociale; in seguito svolge attività come collaboratore giuridico - amministrativo per un ente pubblico; oggi financial planner per un istituto bancario nazionale. Presidente de “Lo Specchio di Alice”, Movimento Letterario UniDiversità. Fondatrice e direttore della rivista periodica bimestrale “Quaderni”, legata a Incontri per Riflettere, cura il confronto di un numero considerevole di poeti, scrittori, pittori, fotografi e musicisti internazionali. Ha tenuto corsi di formazione per adulti. Socia e collaboratrice di riviste e associazioni culturali. Ha pubblicato: Vita nei campi incolti e inariditi, poesie, Libr. Ed. Urso, Avola, 2006; a Zonzo per pensieri, poesie e camminamenti, Ed. Il Ponte Vecchio, Cesena, 2008;  L’Amore sconosciuto. Soliloqui, romanzo poetico, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; I Viaggi del ritorno, Il Tramonto della Freccia del Sud, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; Il mare parla alla sua terra, la terra al mare, raccolta di riflessioni e racconti pubblicati sulla rivista Quaderni dal 2007 al 2014, Collana Wiola, Bologna, 2014; Vestita di carta pensante, raccolta poetica, Collana Wiola, Bologna, Corgae, 2014; Per la Collana Collettiva Wiola del Movimento Letterario UniDiversità (diretta e curata da Giuseppina Rossitto) è direttrice dei cenacoli, autrice principale e curatrice dei seguenti volumi: 28 Autori di Alice, Estetica, arte e parola. Il tratto, il colore, la luce che aprono l’esplorazione poetica, artistica e letteraria, Racconti artistici, Ed. Format Libri, Bologna, 2009; 30 Autori di Alice, Gli strani incontri nella casa rosso bolognese, romanzo collettivo, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; 19 Autori di Alice, L’albero del silenzio e l’arbusto della parola, romanzo collettivo, CSM, Bologna, 2011; 30 Autori del Movimento Letterario UniDiversità, Fra le alture e i dirupi, noi, Romanzo collettivo artistico, Fasertek, Bologna, 2012; 15 Autori del Movimento Letterario UniDiversità, Acque di fiume e acqua di mare, Moderna, Bologna, 2013. Curatrice di raccolte poetiche edite. Autrice ed editorialista della rivista Quaderni.

Nota dell'Autrice

 Legare: autore parola poetica e immagine artistica
Parliamo di un’esigenza che non è indispensabile nella pubblicazione di un libro - tant’è vero che nessuno se l’aspetta e la maggior parte degli autori non se lo pone come problema impellente.
In editoria, il legame viene realizzato con l’immagine di copertina, la quale deve rispondere a esigenze per lo più commerciali, ovvero essere attrattiva, per fare in modo che il libro si distingua fra i tanti esposti nelle vetrine o scaffali. Non è questa l’esigenza che mi ha spinta a curare personalmente le copertine e a fare, di esse, una lettura per immagini del contenuto del libro stesso.
Come potete osservare le copertine sono sei - una specificità propria del mio modo di fare sia narrativa, rivista, che poesia. Per il primo libro che pubblicai, Vita nei campi incolti e inariditi, nel 2006, imposi all’editore due copertine, attirando tutta la sua indisposizione. Da allora non mi sono mai lasciata scoraggiare e ho continuato su questa strada, sapendo di percorrere un cammino sperimentale e innovativo nell’editoria.
Le copertine sono a coppia: le prime due - Vestita di carta pensante e Profumo di donna - sono dedicate alla specificità delle tematiche femminili, sia di pensiero che di diritti e conquiste individuali e sociali; la seconda coppia - Su piatti di rame e Orizzonte - vuole rappresentare la forza delle donne (ma direi di tutti gli individui) di saper soppesare ogni cosa, principalmente lavoro e famiglia, e di ricercare un equilibrio interiore che aiuta a raggiungere anche l’altro; la terza coppia, infine, - Una trapunta per manto e Al mare dei naufragi - è dedicata a problematiche sociali alle quali sono molto sensibile e per le quali mi adopero nel tenere viva l’attenzione, sia mia, che delle persone che riesco a raggiungere, proponendo riflessioni con la parola poetica e narrativa e l’immagine artistica e fotografica.
Altra novità, che nessun libro contiene, è la foto dell’autrice diversa in ogni libro. L’esigenza non nasce da un rapporto eccezionale con la propria figura o fotogenicità, ma dal fatto che anche le mie immagini sono state scelte per legarsi alla tematica di ciascuna copertina. In questo modo il rapporto diventa ancor più stretto, non solo fra poesia e immagine, ma anche fra libro e autore-persona che percorre le strade di ogni giorno. E allora, la dedica presente nel libro:
alla città in cui vivo sono grata
di essa non assaporo le eccellenze
ma gli spazi e i luoghi quotidiani
che pur tanto ispirano e orientano
il mio pensare.

 Preparare un dono per la tavola delle feste:
un libro

 Per necessità di costruire ogni pagina di questa rivista, ho letto tutti gli articoli che sono pervenuti e in ognuno mi sono ritrovata, nel ricordo delle tradizioni e nel senso critico o di accettazione delle novità che il progresso ci impone.
 Anche per me, i primi ricordi delle feste, soprattutto quelle di fine anno, e non solo, sono legati all’immagine di mia madre indaffarata a preparare piatti tradizionali.
Un tempo non si usava il regalo effimero, industriale, ma le feste erano occasioni per indossare un vestito nuovo, un maglione nuovo, un cappotto. Anche questo faceva mia madre, oltre a salsicce, che arrotolava su un manico di scopa per essiccare nel solaio; che immancabilmente rosicchiavamo di nascosto o strappavamo con le mani biscotti di mandorla e di farina e marmellate di mela cotogna nelle formelle di ceramica caltagironese, che nascondeva in diversi punti della casa, perché noi non riuscissimo a scovarli prima della festa tanto attesa.
Difatti, il tavolo della nostra casa - e ne avevamo solo uno, per cui, arrivati a sera, bisognava sgomberare, prima che arrivasse mio padre dal lavoro - era sempre ingombro, quando non di farina, per fare focacce e pane, da stoffe da tagliare e imbastire, da matasse di lana da aggomitolare. I vestiti finiti, poi, una volta stirati, venivano esposti sul lettone, per far godere l’occhio della creazione realizzata o farli vedere con orgoglio alle amiche.
Ricordo che, un Natale, una zia, emigrata a Bologna nel dopo guerra, che mia madre non aveva più visto e noi mai conosciuta, se non per qualche cartolina che ci si scambiava proprio in prossimità del Natale o della Pasqua, ci fece pervenire un grande pacco, che aprimmo come si fa con un forziere contenente chissà quale tesoro.
Il pacco era pieno di campionari di stoffine, quelli che i negozi o i tappezzieri buttano una volta esaurita la fornitura. Considerammo quel pacco una ricchezza. Mia madre si mise all’opera eccitatissima e prima che arrivasse il Natale, tutti i suoi bambini, di cui il più grande avrà avuto allora 8 anni, ebbero una gonnellina, un vestitino, un pagliaccetto, un camicino. Rimasero alcuni piccoli ritagli, che utilizzò a carnevale per farci i vestiti di Arlecchino.
Le persone non capivano, e le domandavano come facesse, con solo mio padre che lavorava come bracciante, a mantenerci sempre così eleganti. Soprattutto si chiedevano dove trovasse il tempo, con tanti bambini piccoli da allevare, anche per cucire, ricamare, lavorare all’uncinetto, ai ferri, ecc.
Dico ciò perché questa tradizione sento di averla portata avanti, assieme ad altri fratelli e sorelle. La stessa domanda che facevano a mia madre - Ma come fai, dove lo trovi il tempo? - me la sento ripetere tante volte da amici, parenti e conoscenti. Anch’io uso i campionari per fare piccole creazioni, non più vestiti; ho evoluto e affinato il senso di creatività ereditato dalla mia genitrice e uso le mie abilità manuali per dipingere, scolpire, scrivere, creare; ma credo di usare gli stessi principi che usava lei, ovvero: sogno, progetto, studio, riciclo, realizzo, dono. Tutte queste azioni richiedono tempo, ma non più di quanto ne richieda guardare un film, andare al cinema, a teatro, fare shopping, oziare, fare ginnastica, una passeggiata, leggere un libro, guardare una telenovelas, ecc. ecc. In sostanza penso che la domanda più giusta da fare sia: perché trovi il tempo per creare e non lo dedichi ad altre cose? Detto questo, non vi è dubbio, che ogni azione, che si aggiunga a quelle considerate di routine, trova la sua ragion d’essere nel risparmio di tempo da altre attività, compresa quella del riposo e del sonno.
Ma torniamo alla tavola delle feste. Cosa ho sognato, progettato, realizzato e mi accingo a donare alle persone che mi stanno vicino? Un libro! Per questo progetto lavoro da tempo; tanti sono stati i preparativi e le energie spese in questa direzione.
La prima operazione è stata raccogliere le tante poesie prodotte negli ultimi anni e raggrupparle in un unico file. Poi è venuto il tempo di impostarle e impaginarle sotto forma di libro. Contattare lo stampatore, farmi fare un preventivo; capire come ammortizzare la cifra richiesta; studiare la migliore soluzione fra costi, benefici; a quel punto si arriva all’aspetto estetico ed esteriore: la copertina.
Dipingo la copertina, Vestita di carta pensante, e la presento, già graficamente impostata, al tipografo, il quale mi dice: “Com’è che fa solo una copertina questa volta? E poi mi suggerisce: “Se vuole numerare i libri, io riesco a farlo, in copertina”. Ecco allora che scatta la molla. Ho passato tutta la notte a capire come potevo fare altre copertine e, prima che arrivassero le tre del mattino, ne avevo dipinte sei e l’indomani inviate via e mail al tipografo, perché realizzasse le prove di stampa.
Sei copertine dipinte dall’autore e numerate somigliano, come criterio, a un’opera d’arte, una riproduzione a tiratura limitata. E allora, se il libro diventa opera d’arte, allora va presentato come tale. Da qui l’idea del leggio che richiama quella del cavalletto espositore.
Era venerdì sera quando ho aperto l’agenda e ho iniziato a disegnare il leggio, poi su cartoncino ho fatto un prototipo, ho preso le misure perché ci andasse sopra la collezione di 6 libri, e ho pensato di farne una diecina: per me, i miei figli e le mie sorelle e fratelli. Il sabato pomeriggio decido di andate da Leroy Merlin per comprare le listarelle di abete. Immancabilmente, c’è la partita allo stadio e via Saragozza è chiusa al traffico, bisogna andare dallo stradone, cosa che odio, non essendo un’esperta automobilista di strade di larga percorribilità. L’eccitazione però è tanta, perché se ho le listarelle a casa, l’indomani, domenica, posso iniziare a realizzarli. Mi avvio, pioviggina e fa buio in men che non si dica. La paura che possa perdermi, per non aver indovinato l’uscita dallo stradone è reale, ma non mi ferma. L’uscita l’ho presa giusta, ma quando sono su via del Lavoro, al buio, non riconosco la strada, non ritrovo i punti di orientamento, penso di aver sbagliato, mi fermo appena posso ai margini della strada, scendo dalla macchina, mi guardo in giro, poi risalgo e decido che appena trovo un modo per tornare indietro, faccio inversione ma, intanto che penso questo, ecco un punto di riferimento, l’insegna della polizia. Mi convinco che sto percorrendo la giusta direzione, mi incoraggio, vado avanti, eccola la salita che porta da Leroy Merlin, all’Ikea, al Pala-Malaguti.
Tiro un sospiro di sollievo, adesso è un gioco arrivare. Parcheggio, entro, vado direttamente nella corsia delle listarelle di abete, scelgo quelle giuste e nella giusta quantità, poi provo a sentire dal falegname se me li può tagliare e dice di sì; che bello, pensa quanto lavoro mi evito con la sega elettrica. Mentre aspetto il turno, mi attirano i pannelli di compensato. Li guardo, li sfilo dallo scaffale, li misuro, mi appoggio alla catasta di assi di legno che ho dietro, tiro fuori l’agenda, incomincio a disegnare. Cosa? Una casa, ovvero una casetta per le bambole. È vero, non ho nipotini, perché quest’idea? Una casa delle bambole l’ho sempre desiderata, l’idea di poterla realizzare mi fa alzare i livelli di adrenalina. Per chi? Ma per la bambina di Antonio Marino, al quale ho chiesto di presentare il libro. Ho trovato la motivazione (la scusa!) giusta per realizzare la casetta delle bambole. Aspetto ancora il mio turno e intanto ho preso le misure, le ho segnate sui pannelli e quando, infine, arriva il mio turno faccio segare il tutto e mi raccomando che mi metta nel carrello anche lo sfido, mi servirà per i mobiletti. Ho già in mente tutto di come verrà quella casa, le seggiole, il tavolo, i letti, i divani, il camino, i quadri, i tappeti...
 Tornata a casa, non ho aspettato la domenica: “Chi ha tempo non perda tempo!”, mi sono detta. I leggii lo so come verranno, mi intriga di più la casetta. Tiro fuori gli attrezzi, la colla a caldo e inizio ad assemblare, e mentre assemblo l’ euforia mi prende perché vedo che funziona, non solo sulla carta, ma anche nella realtà. Ho impiegato tante notti a finire quella casa, due camere da letto, un bagno, un salotto, la cucina in muratura, due terrazzi, un pianerottolo con colonne, insomma ho dovuto rialzare anche il tetto perché le mansarde mi sembravano troppo basse. Ho chiesto il condono! E poi i mobili, i quadri, gli arredi, e ancora non ho finito… E i leggii?
Bisogna mettersi all’opera perché occorre incollarli, poi inchiodarli, impregnarli di colore, decorare con la pasta di mais, passare la copale, farli asciugare, confezionare… Quante notti mi occorreranno? Ma quanti farne? L’idea era dieci, ma le listarelle ci sono, beh, ne sono venuti venti. Il timore è che non bastino. Vorrà dire che durante le vacanze, invece delle salsicce e dei biscotti, farò i leggii.
Il tavolo dello studio! Accidenti, sembra il tavolo di un falegname: quanti attrezzi, colori, i leggii uno sopra l’altro; e ogni notte, ripulire e arieggiare, perché i colori fanno puzza! Ieri li ho fotografati, fatto il pdf, trasmesso via e mail e su facebook, devo rispondere alle amiche che mi dicono quale hanno scelto.
Posso dire che la tavola l’ho imbandita, i segnaposti li sta preparando Maria Grazia, angeli di ogni misura.
E gli invitati? Già bisogna preparare gli inviti! Che carta ho in casa? Le pergamene! In una delle copertine, la figura indossa un vestito di pergamene arrotolare e fissate da violette. Come invecchiarle? Le passo sopra i fornelli, scricchiolano e si lamentano i fogli, mentre si anneriscono e fanno le bolle. Anche questa è fatta, non mi rimane che realizzare le violette con la pasta di mais e attaccarle, poi stampare il retro degli inviti. Fatto, spediti, consegnati a mano.
Gli invitati! Occorre fare la lista. Chi verrà alla presentazione? Chi ordinerà il libro? La collezione da sei, quella da due, quello singolo? È un libro numerato. Questo vuol dire che ogni libro va ad una persona che conosco. A loro chiedo di custodire le mie parole, che sono documento e testimonianza del mio impegno di poeta. E allora?! E allora voglio conservarli tutti nel cuore e nella mente queste persone, voglio fare i ritratti dei miei lettori...
E il tavolo si riempie di nuovo di fogli, colori, pennelli… La festa è il 7 dicembre. Mancano pochi giorni! Ce la farò a finire? Devo farcela. Ma adesso sono le 2:36 e sono sfinita. Chiudo qui, “domani è un altro giorno!”
  
Presentazione
 di Antonio Marino
artista
Vestita di colore e parole

Relazione, presentazione del libro di Giuseppina Rossitto,

Vestita di carta pensante


 

Vestita di carta pensante, l'ultima fatica letteraria di Giuseppina Rossitto, non è solo un libro di poesie, bensì un progetto editoriale ambizioso e moderno, che mira a creare un legame forte tra poeta e lettore, un'idea dinamica con la quale l'autrice intende abbracciare tutti coloro che si apprestano a immergersi nei suoi versi, cingendoli concettualmente delle sue passioni: la poesia e la pittura.
Da questa sinergia nasce uno scambio di cultura e d’emozioni.
La pubblicazione non è pensata per grandi tirature. I libri stampati, infatti, sono in produzione limitata e numerata, con sei copertine diverse ma collegate fra loro da un dialogo ragionato che funge da insolita prefazione alle poesie.
Ogni copertina raffigura un'opera pittorica dell’autrice ed è numerata da 1 a 50. Questo, di per sé, basterebbe a rendere Vestita di carta pensante un libro da collezione. Come se non bastasse però, secondo modalità diverse, la divulgazione del testo è accompagnata anche da un apposito leggio decorato e dal ritratto di chi acquista il libro (sempre eseguito dall'autrice). L'idea si presta ad essere letta lungo canali diversi.
Il  leggio è collegato al libro in quanto oggetto e i dipinti raffiguranti le immagini di copertina rimandano al contenuto delle poesie. Delle tre possibilità elencate, il ritratto, oltre a rappresentare una sfida di abilità tecnica non facile, è  l'elemento che concettualmente unisce l'autrice a chi si trova dinanzi alle sue poesie. È come se Giuseppina volesse dire ai suoi lettori “Voi provate a conoscere, me leggendo le poesie, io scoprirò ognuno di voi ricostruendo i vostri tratti pennellata dopo pennellata.”
Lo sforzo creativo finora raccontato rinsalda l'antico legame tra  parola e pittura. Basti provare a ricordare che le stesse lettere dell'alfabeto erano in origine disegni che rappresentavano la realtà.
L'esigenza dell'uomo di raccontare e tramandare i molteplici aspetti della propria vita ha fatto sì che questi ultimi divenissero sempre più semplici, schematici, facili da riprodurre fino a trasformarsi  nelle lettere dell'alfabeto. Successivamente, in secoli in cui gli uomini alfabetizzati erano una ristretta minoranza, si era creata l'esigenza, in certi contesti, di illustrare il testo con immagini che lo spiegassero. Proviamo a pensare, ad esempio, ai fedeli presenti ad un'omelia, in una cattedrale del secolo XI, per lo più pastori e contadini analfabeti e poco inclini ad ascoltare lunghe lezioni sulla parola di Dio. La funzione didattica dell'oratore rischiava di essere inefficace. Egli però poteva avvalersi di uno strumento utile a rendere la sua lezione facilmente fruibile. Era dotato infatti di rotoli di pergamena che venivano srotolati verso il pubblico. Le miniature  stranamente erano dipinte al contrario rispetto alla parte scritta. La scrittura era infatti rivolta al sacerdote che leggeva, l'immagine ai fedeli.
Da allora sono tanti gli artisti che hanno raccontato con i propri dipinti saggi, romanzi e poesie. Uno degli esempi più illustri è probabilmente quello di Matisse quando, nel 1947, pubblicò Jazz. In esso ogni pagina è scritta e dipinta dall'artista.
   Al di là del legame che intercorre tra diverse discipline artistiche e varie idee è giusto sottolineare il peso specifico di ogni poesia presente nel libro. Il percorso verso il quale ciascuna ci accompagna forse non è semplice, e neppure immediato. Bisogna prendersi il tempo per entrarci dentro individuando specialmente simboli, metafore e analogie che evocano sensazioni istantanee provate dall'autrice e sedimentate nell'uso colto e mai banale della parola, della composizione del verso, di una cifra stilistica matura e ormai consolidata.
Si ha la percezione che Giuseppina Rossitto voglia indicare una strada lungo la quale si possa sempre avvertire la sua presenza e con essa il suo passato, il suo presente, ma soprattutto la sua visione al femminile delle cose.
Lungo questo tragitto c'è una città fatta di cose fisiche come mura, alberi, terra, mare, treni e persone che la abitano. Ci sono oggetti, voci, odori, respiri che la animano,  presenze e luoghi che appaiono senza una premessa, senza una collocazione geografica certa, dai quali, proprio per questo, è possibile evadere associando ad essi le esperienze del fruitore. Quest'ultimo può così muoversi liberamente dentro, esplorando un paesaggio che era dell'autrice e che, poco alla volta, diventa il suo.
La forza evocativa dei versi  di Giuseppina permette anche di lasciarsi andare ad un gioco affascinante, quello di provare ad accostare alcune poesie al ricco repertorio che la storia delle arti visive ci offre.
Una  lirica ad esempio rimanda ad un artista del secolo XIX  di cui libri e cataloghi parlano poco, ma che può essere considerato tra i più virtuosi ritrattisti della sua epoca, il tedesco Winterhalter. Questi era talmente bravo da ricevere commissioni dalle corti più potenti del suo tempo, avendo così la possibilità di ritrarre non solo ricchi signori ma anche e soprattutto regine e principesse. Tra le sue prestigiose modelle si annoverano, ad esempio, la regina Vittoria d'Inghilterra, Elisabetta d'Austria, conosciuta da tutti come la principessa Sissi, l'imperatrice Eugenia di Francia.
Proprio il ritratto di una regina ci aiuta a immergerci nei versi di una poesia di Giuseppina. È un'opera di Winterhalter, custodita nel Palazzo reale di Madrid, che ritrae l'imperatrice di Spagna, Isabella II. La donna è raffigurata al centro di una tela verticale di grandi dimensioni, tutta  percorsa da un drappo rosso che riveste il pavimento per divenire poi un sipario che si apre su un paesaggio raffigurante antiche rovine romane, residuo di una cultura neoclassica ancora fortemente sentita negli ambienti aristocratici. Il gradino  posto in primo piano fa sì che il pavimento appaia come un palcoscenico sul quale la regina si presenta in piedi, posta di trequarti, accompagnata con la figlia. Con la mano sinistra  tiene un pregiato ventaglio chiuso, che richiama la tradizione spagnola, mentre la destra è rivolta alla sua bimba, aggrappata al vestito materno, un'iconografia che indica come passato è futuro siano nelle sue mani.
    Lo status sociale d’Isabella è sottolineato dalla ricchezza del vestito che, oltre ad esaltare la sua eleganza, mette in luce le qualità dell’ artista. Questi era celebre proprio per la capacità di raffigurare fedelmente le pieghe e i particolari degli opulenti capi di rappresentanza, per l’abilità con cui ritraeva trasparenze, ricami e accessori. Queste sue peculiarità si evidenziano nell'abito che, anche per il suo volume, domina la scena. Lo sguardo di Isabella è dignitoso e discreto. Un po' come oggi i nostri politici parlano davanti all'obiettivo delle telecamere, rivolgendosi a spettatori che non possono vedere, ella fissa l'artista,  consapevole che quello sguardo è in realtà rivolto al suo pubblico. Da esso l'artista fa emergere tutta la fierezza della regnante, ma anche la vanità di donna nel sentirsi avvolta da tale eleganza.
 Anche alcuni versi della Rossitto sono dedicati a una regina.
La protagonista di questi versi non è in posa come quella di Winterhalter. Non vive dentro architetture rassicuranti. Il suo regno è sparso per i vicoli e le strade di una o più città, tra marciapiedi spesso maleodoranti e sprazzi di verde velati di smog. La sua storia non è custodita in libri secolari e il suo passato è incerto almeno quanto il suo futuro. Non ha sudditi pronti ad ammirarla, anzi, ella è spesso invisibile ai passanti. Un giorno però le capita di incontrare la sensibilità di una poetessa. Incrocia i suoi occhi per pochi attimi. È  una senza tetto ma, avvolta in una trapunta trovata chissà dove, in quel lasso di tempo è una regina. Il suo manto diviene l'abito più ricco che Winterhalter abbia mai  ritratto. Quell'immagine altera e al contempo fugace forse non sarà mai attraversata da colori stesi da pennellate sapienti ma, grazie a quell'incontro fortuito, potrà trovarsi “ritratta da parole” o, se vogliamo, vestita di carta pensante.          
Quei versi hanno per titolo Una trapunta per manto e recitano:

La regina nel suo manto vagava
fra le mura e il verde malato.
Da quale regno lontano venisse,
dove avesse smarrito la pace,
chi poteva saperlo: nessuno!
La città più non si meraviglia,
uno sguardo, e già non la vedi.
                                                                                                                            


domenica 24 agosto 2014

MOVIMENTO LETTERARIO UniDiversità
COLLANA Wiola
di scrittura collettiva
curata da Giuseppina Rossitto

SELEZIONA
 SCRITTORI, POETI,  PITTORI


CONVEGNO 
IL MARE DEI NAUFRAGI E DEGLI APPRODI

ALCUNE IMMAGINI DELLA MOSTRA
 E DEL CONVEGNO
CENTINAIA DI VISITATORI
40 AUTORI A CONFRONTO
 E 2 SCOLARESCHE

LA POETESSA GIUSEPPINA ROSSITTO
In rappresentanza di tutti i poeti del Movimento Letterario UniDiversità
si fa ambasciatrice di pace, di accoglienza, e di difesa dei diritti umani
leggendo e consegnando al vento e alle acque del Mediterraneo
le poesie sul "Mare dei naufragi e degli approdi"
Avola 1- 3 agosto 2014
presenti: 
Comandante Mar. S. Fortuna della Capitaneria di porto
Il Sindaco G. Cannata
L'autorità religiosa Padre Caruso
La delegazione di Marinai Bammino
Gli amministratori del Comune di Avola
Dei civili










 La cesta contenente le poesie dentro un contenitore di vetro destinato alle acque del mare


Visitatori della mostra poetica e dei Quaderni





Momenti del convegno

I nuovi soci durante il Convegno: 

Avv. Roberta d'Aquino di Catania


Avv. Luca Caldarella  Avola-Catania


Dr.ssa Franca Puglisi Avola 




Stefano Magro, Avola


Luisa Caruso, Udine












Giuseppina Rossitto e il sindaco di Avola Gl Cannata

RELAZIONE PRESENTATA AL CONVEGNO
DALLA PRESIDENTE
GIUSEPPINA ROSSITTO
Pubblicata sulla Rivista Quaderni n. 3/2014


Un patto
con il mare patrigno,
una condanna
per i traghettatori
di fantasmi

 Si disperde lo sguardo fra gli scogli;
tutto sereno, né rabbia né violenza,
nessuna lotta ingaggiano le onde.

È lì che vorrei sostare, camminare,
sulla sabbia liberata dalla marea.
Col mondo assente, un patto col creato:

nella sabbia non farmi sprofondare,
nel mare non mi ingoiare, ma conchiglie
per suoni che il vento portò lontano.

L’ultimo mio incontro con il mare risale a metà maggio. Ho passeggiato in compagnia di Chiara su una spiaggia libera del litorale ferrarese. Il passaggio della bassa marea era ancora visibile nelle tante conchiglie, vongole e ostriche approdate, com’è naturale, sulla spiaggia e che scricchiolavano sotto i sandali, ricavando persino piacere nel contribuire ad arricchire la rena del luccichio madreperlato. L’ambiente selvaggio era ancora dominante, considerata la bassa stagione, tronchi e rami secchi e sbiancati coprivano parti importanti dei costoni, da rendere intricata la pineta selvatica e irraggiungibili i cespugli di more. Il mare, neanche a dirlo, è l’Adriatico, limaccioso e scuro, da non incoraggiare l’immergersi nelle sue acque, neppure i soli piedi. Eppure...
L’altro recente ricordo è del mese di marzo. Questa volta era il mare Ionio, il mare di Sicilia, visto dalla strada, di sera, all’uscita da un ristorante sul porto. L’amico Sebastiano, ricordo, commentò, aprendo i polmoni: “È impossibile pensare un giorno di svegliarsi e non trovare il mare. Fa parte della nostra vita, del nostro respiro. Si attende l’arrivo del tempo giusto, e poi, il piacere d’immergersi nelle sue acque. Impagabile!”
Anch’io sono nata in un’Isola, e forse non ho avuto molto tempo per apprezzarla: non le colline e i brulli monti, non li conoscevo, non li vivevo; non la luminosa campagna, non la possedevo, non la vivevo, e ciò che di essa sapevo era il sacrificio del duro lavoro bracciantile, le lotte, la morte per la difesa del lavoro; quanto al mare, quell’immensità azzurra spesso confusa con il cielo, che come muro d’acqua determinava il confine brillante della strada in cui vivevo, forse l’ho respirato, ma mai esaltandone i benefici effetti di aria e iodio, quanto il senso dell’immensità, la burrascosità, l’inarrestabile moto, uniche sostanze immateriali ereditate. Le ho portate con me queste sostanze, quando ho deciso che si poteva volare oltre il mare, cosciente e consapevole di trovare la terra ferma, stabile, sicura, da conquistare con la sola forza della volontà e del lavoro quotidiano, non per le sostanze materiali, che peraltro non possedevo.  Era tutto da costruire, persino da inventare, giorno dopo giorno, solo la libertà di scegliere era una certezza.
Le tante traversate, di qua e di là della terra ferma, erano accompagnata anche per me sempre da un grande respiro; non credo servisse a far scorta d’aria, ma annunciava cambiamento, benché raramente sommovimento rivoluzionario dell’esistenza.
Nel tempo ho avvertito che il piccolo bagaglio immateriale che ho portato con me non era poca cosa, tutt’altro. Ho avuto spesso la sensazione di aver riempito un otre, non di vento, ma di moto ondoso e di non aver resistito dall’aprirlo e dall’ esserne invasa, fin quanto non ho avuto la forza di richiuderlo e nuovamente riaprirlo… e poi ancora...
Non è stato facile capire cosa fosse più importante, in questo viaggio aldilà del mare, se la continuità dell’essere o il cambiamento nel vivere. Ancor ieri mi sono trovata a discuterne con Marinella e siamo arrivati a scomodare Gramsci. E oggi, riflettendo ancora su questi due concetti - continuità o cambiamento - mi chiedo se non sia illusorio un progetto di cambiamento personale che non sia accompagnato da un percorso parallelo che interessi il contesto sociale, il modo di pensare, di vivere, di agire della società del nostro tempo.
Per tornare al mare nostrum,  allora mi chiedo, di fronte agli animi audaci che rivendicano, con la forza della libertà o con la debolezza della sofferenza, il superamento dei confini territoriali e di poter godere della libertà e dell’eguaglianza, presupposti del mondo globalizzato: li abbiamo realizzati o stiamo lavorando perché la libertà e l’emancipazione dallo sfruttamento siano effettivi?
La mia formazione laica mi dice che la ricerca di una risposta al quesito debba trovarsi primariamente in un sentimento umanitario, etico, di ricerca continua e di conoscenza dell’ umano. Da qui partire per edificare sistemi politici, giuridici, improntati alla difesa dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli.
Rispondo allora all’amico Sebastiano.
 È penoso pensarlo, ma il piacere rilassante del mare, il sole delle spiagge, l’odore di alghe e di sale non mi coinvolgono con uguale intensità, e non solo per la lontananza territoriale. Il fatto è che, naufragio dopo naufragio, cresce in me un senso di avversione per il mare “patrigno” e, al contempo, un sentimento di rispetto per quelle acque, che considero oramai un luogo consacrato al culto dei naufraghi inghiottiti, fantasmi che invadono le nostre coscienze e chiedono giustizia, ogni giorno e ogni notte.
Oggi noi siamo testimoni di una grande ingiustizia e dobbiamo tutti fare qualcosa, occuparci di questo grande male sociale, non girarci dall’altra parte. Non sarà ignorando la natura funesta del mare e decantando il chiarore e il calore delle acque e il candore dei gabbiani che resteremo poeti. Il poeta denuncia non ignora, il poeta canta il dolore, non piange, il poeta “costruisce l’uomo nuovo”, alimenta del fuoco della passione le coscienze.
I conoscitori del mare nostrum dicono che esso è un mare-autostrada, sempre affollato di natanti come nei peggiori momenti di punta. Mi chiedo allora come sia possibile, non che avvengano i naufragi, che, come gli incidenti stradali, aumentano con l’aumentare del traffico ma che nessuno si accorga che, giorno dopo giorno, centinaia di persone salpano con “barconi fatiscenti”. Sì, mi chiedo come sia possibile, in un mondo dove i satelliti registrano anche le targhe delle macchine parcheggiate davanti alle nostre case, che passino inosservati flussi migratori irregolari così ingenti e così costanti, ormai da oltre vent’anni.
Quando detti alle stampe i Viaggi del ritorno. Il tramonto della Freccia del Sud, dissi che le antenne della Freccia del Sud e della Freccia del Sole si erano trasferire ancora più a Sud di Palermo e Agrigento, si erano spinte nel Mediterraneo. Ma le Frecce della nostra passata migranza erano regolari, mezzi pubblici di Stato, benché si viaggiasse stipati, con la valigia di cartone e forse anche con qualche maglione di più addosso, per trasportare più cose possibili, sempre che fossero possedute, poiché si andava verso le terre fredde, nebbiose e nevose di Milano, della Svizzera, Francia, Belgio, Germania.
L’indignazione che proviamo oggi, ancor più di ieri, è per l’essere di fronte a un commercio di schiavi, di una “merce assicurata”, visto che il trasporto è pagato in anticipo e con moneta sonante a organizzazioni criminali di scafisti da condannare.
Per fortuna il mio occhio è risparmiato della visione diretta di naufragi e del raggiungimento delle immediate coste da parte dei sopravvissuti, sebbene lo spirito venga ugualmente atterrito dalle immagini quotidiane della cronaca e dai servizi di denuncia. Più spesso, anzi quotidianamente, vedo il dopo approdo.
Vivo in una città tra le meglio gestite e organizzate con riguardo all’accoglienza e ai servizi sociali, eppure non vi è giorno in cui esca di casa che non veda, a ogni angolo di strada, nelle panchine, davanti ai bar, per le piazze, sotto i portici, per le strade, ai semafori, nei parcheggi dei supermercati persone sane, bei giovani, di ogni lingua, di ogni paese, stendere la mano, lamentarsi, chiedere, esibire cartelli, vendere cose inutili, insomma, mendicare. Ad essi si aggiungono rom, drogati, spacciatori, prostitute di ogni colore lungo i viali sul calar della sera e lungo le strade provinciali ad ogni ora del giorno e della notte.
Io non so come sono arrivate queste persone né da dove, né se si fermeranno e per quanto tempo; so che necessariamente bisogna reagire a queste massicce richieste, e lo facciamo, spesso, girandoci dall’altra parte. La coscienza rimorde, ma ci diciamo che non si può dare a tutti e la scelta è spesso “per nessuno”. Eppure dovremmo sempre più sentirci coinvolti verso questi problemi, trovare soluzioni sociali di volontariato e di accoglienza, per favorire integrazione e conoscenza.
Nella realtà odierna, noi, moderati o progressisti - la differenza in verità non è marcata - spesso “chiudiamo gli occhi”; preferiamo ignorare la realtà di chi ci accosta e li vediamo apparire come figure incorporee, eteree. Il primo sentimento è il timore, ma ci confortiamo sapendo che ci sfioreranno, per poi sparire in un’altra strada, in un altro luogo… in un altro paese.
Già, è diventato di moda pensare che i “fantasmi” sono solo “di passaggio”; non è il nostro Paese la loro destinazione, ma la più grande Europa, il Nord dell’Europa industrializzato.
Ma è proprio così? O è solo una rassicurazione per sviare lo sguardo dalle nuove sacche di proletariato rurale e urbano che, sotto i nostri occhi appannati, rischiano o sono già diventate anche sacche per il reclutamento della malavita organizzata e del caporalato, ancora duro da estirpare.
Voglio ricordare, andare indietro con la memoria, e chiedermi: “Da quando abbiamo iniziato a vedere e valutare i processi migratori non in senso attivo, ma come fenomeno subito?”
Rientro fra le persone fortunate poiché non ho traumi legati a questo fenomeno, piuttosto un ricordo solare e tonante, la voce del mio bimbo, di soli sette anni, che saluta una sua compagna di classe, mentre fa capolino fra le colonne del portico, all’uscita di scuola. Era la primavera del 1997, e le scuole elementari “accusarono” la venuta in massa - ma ne bastava anche solo uno per parlare di immigrati - di bambini extracomunitari. L’anno prima erano state accolte due bambine filippine e quell’anno fu la volta di una bambina albanese. Gli arrivi dall’Albania facevano molta paura, erano le prime “carrette del mare”, i primi gommoni che portavano centinaia di persone in Italia, spinti dalla loro crisi economica, dovuta al fallimento di una serie di società finanziarie, e dall’idea che il nostro Paese fosse “da favola”, così come telenovelas e pubblicità facevano vedere alla tv. Il mare dei naufragi quella volta era l’Adriatico, pattugliato costantemente dalla Marina militare. Il pattugliamento non era servito a evitare un naufragio, anzi fu proprio una nave della Marina militare, la “Sibilla”, a speronare, nel tentativo di scoraggiarne le manovre, un vecchio pattugliatore di origine sovietica, carico di oltre 100 persone, donne, uomini e bambini, che andò a picco in men che non si dica.
La bambina e i suoi genitori, la mamma maestra e il papà muratore, erano invece arrivati, non avevamo mai chiesto come. Li guardavamo con sospetto, nonostante la ricercata e ordinata, benché modesta, eleganza della madre. Il padre invece non esitava a chiedere se avessimo dei lavori da fargli fare, salvo lasciarli a metà per una qualche ragione. La bambina lasciava invece i segni sulle braccia dei compagni. Forse l’impossibilità ad esprimersi nella nuova lingua la spingeva a usare la bocca non per parlare ma per dare morsi. E i morsi aumentarono con la distanza che prendemmo, genitori e bambini, di fronte all’ aggressività della nuova arrivata. Non ricordo se finì l’anno con noi, o furono prese misure o trasferimenti. L’attenzione fu distratta dall’arrivo di un altro bambino extracomunitario, ma non era dell’est, né di un altro paese povero o belligerante, era un americano. Le cose cambiarono subito, l’accoglienza fu massima e le mamme ci facevamo in quattro per invitare il bambino e i genitori a casa o fuori. Era come respirare l’America, imparare una parola in più di inglese!
Finita la scuola invitammo lui, la sorellina e la mamma a trascorrere una giornata insieme al mare. Con la mia 126 verde ci avviammo alla volta di Cesenatico ma, andando dalla provinciale e non dall’autostrada, chissà come fu, ci perdemmo e, dopo aver attraversato territori suggestivi acquosi e paludosi, nonché saline, ci ritrovammo nei liti ravennati. Si scottarono la pelle chiara, benché vestiti, ma fu una giornata che cimentò un’amicizia che dura fin’ora. Il mare unisce!
Da quel 1997 sono passati 17 anni di arrivi di bambini extracomunitari nelle scuole bolognesi. La buona volontà dei genitori di creare integrazione non è bastata. L’amico Sergio, direttore didattico, m’informa che è stato istituito un Centro comunale di supporto all’alfabetizzazione, che si occupa anche di ricongiungimento familiare e di asilo politico e che dà indicazioni alle scuole dei bambini che sono in arrivo e devono essere inseriti nelle classi. Il censimento riguarda anche i bambini non “regolari” che vengono comunque inseriti nelle scuole, e quelli nati nel nostro territorio.
Non vengono predisposti programmi distinti per questi bambini, ma si sfruttano le ore di compresenza degli insegnanti per destinare loro più tempo. Il Comune offre inoltre delle figure professionali di alfabetizzatori che lavorano, uno su uno, per l’ insegnamento della lingua italiana. C’è stato in questi anni passati un tentativo di istituire una classe di soli stranieri, ma è rientrato subito.
Ciò che è certo è che la presenza di stranieri nelle scuole è un fenomeno destinato a permanere e ad aumentare. Dati relativi al quinquennio scorso parlano di percentuali attorno al 7% a livello nazionale e attorno al 12% per Bologna e provincia, con punte attuali intorno al 30% in alcune scuole di quartieri a maggiore concentrazione di immigrati residenti.
Il fenomeno migratorio nella sua complessità, a livello locale, nazionale e globale rappresenta una caratteristica strutturale delle attuali società, destinata a permanere e ad accompagnarci nel prossimo futuro. Questo significa prima di tutto che la presenza dei migranti sul territorio non riguarda unicamente le questioni legate alla prima accoglienza, alla sanità, all’inserimento nel mercato del lavoro, ma l’organizzazione della società nel suo complesso: dal sistema di protezione sociale a quello scolastico, dagli aspetti politici a quelli culturali; circostanza che implica la necessità di comprendere l’evoluzione del fenomeno nelle sue diverse sfaccettature, sia dal punto di vista dei soggetti migranti che delle società che accolgono.
Gli ultimi arrivi nelle coste delle nostre isole e regioni del sud ci dicono  che i bambini, peraltro privi di genitori e senza nessuna possibilità di identificarne l’origine familiare o sociale, sono in tragico aumento. Dobbiamo perciò sforzarci di affrontare con nuovo coraggio e solidarietà il fenomeno esponenziale di bambini e donne trasportati nei barconi e, fortunatamente, sfuggiti alla ferocia della guerra, dei trafficanti e del mare.
Il 22 maggio, 133 bambini non accompagnati sono arrivati a bordo di un barcone fatiscente e portati in salvo a Pozzallo dalle operazioni di salvataggio della Marina militare. Penso al coraggio di questi piccoli eroi; penso ai traumi che la loro mente conserverà per sempre; penso al coraggio delle madri e dei padri che hanno trovato la forza di imbarcarli da soli, sperando di assicurargli la vita e un futuro. Sono madri snaturate o madri coraggio?
Non diamo nulla per scontato, pensiamo solo a un dato: in Siria, in tre anni di guerra si sono avuti oltre 100.000 vittime; 2 milioni e mezzo di profughi; 9 milioni e 300 mila persone in emergenza; sono oltre 11.000 i bambini morti dall’inizio del conflitto, spesso uccisi da bombe ma anche finiti nel mirino di cecchini e a volte torturati. Lo rivela un rapporto dell’Oxford Research di Londra, della fine del 2013, che cita anche “esecuzioni sommarie”: delle 11.420 vittime sotto i 17 anni, 2.223 sono morti nella zona di Aleppo, 389 sono stati uccisi da un cecchino, 764 “sommariamente giustiziati” e più di 100 sono stati “torturati”.
Se ipotizzassimo di mettere in fila, sdraiati per terra, i corpi delle 11.420 vittime minorenni della guerra in Siria copriremmo tutta la costa da Siracusa ad Avola.
Questi bambini non possono essere rimandati indietro. Nessuno può essere rimandato indietro!
Il senso dell’ospitalità che distingue il nostro popolo non può mancare di fronte a un’emergenza di questa natura. Diversamente sarebbe come dire che la storia non ci ha insegnato nulla e che i nuovi campi di concentramento si sino trasferiti nelle profondità del mare nostrum, e noi sbadatamente non abbiamo capito che di questo si tratta, di nuovi e sempre diversi sistemi di sopraffazione di caste su caste, oligarchie su masse, sistemi economici su altri.
Voglio sperare che questi bambini, durante il viaggio, possano aver sognato di essere capitani, ufficiali, mozzi dell’ultima traversata del vecchio vascello sequestrato ai pirati, e che, una volta approdati sulla nuova terra, possano procedere al disarmo della nave e alla sua distruzione. Voglio sperare che di fronte alle acque tenebrose, nascondendo il volto con le mani fra le gambe e assopendosi, abbiano ricreato nella mente la cara immagine del volto delle loro madri, delle loro sorelle, dei loro padri, del loro paese, delle loro strade, dei loro giochi. Spero che possano seppellire nella memoria, per un tempo sufficiente a diventare uomini e donne, i silenzi malinconici e prolungati, il mugghiare delle onde, il rumore dei motori in avaria, e che un giorno, volgendo lo sguardo verso il passato, possano narrare la loro “avventura”, popolata di mostri che hanno sconfitto con la forza e la voglia di vivere in un paese pieno di solidarietà stesa al sole.


 FRA LE POESIE LETTE AL CONVEGNO SI RICORDANO


 Il lamento dei coralli

Un altro giorno lungo s’annuncia,
di pattuglia su coste e su mare.
Non pesci a guizzare dalle acque,
a riempire le stive delle navi.

Si vive nel silenzio dell’attesa,
l’ennesima tragedia degli umani.
Pietas per il guardiano del mio mare,
la stessa che si prova per gli eroi.

L’animo tante volte fu marcato
dal miasma di atroce sofferenza.
Voragine si apre nel suo cuore,
per celare visi e corpi lesi.

Ti aspetterò, guardiano del mare,
che importa quanto dovrà passare.
Sarò con te a reggere le mani
che afferrerai, che solleverai.

Per sguardo che pietoso implora,
per il pianto che ora trova sfogo,
suggerirò parole di conforto,
t’aiuterò a contener la pena.

Condividi con me questo dolore.
Non seppellirlo nel profondo cuore
perché nessuno possa mai cercarlo,
mai ritrovarlo, o mai più cantarlo.

Voglio piangere, di pianto dirotto,
stringerti a me e portarti via, via.
Afferrarti la mano, trattenerti,
ma nei tuoi occhi luce già rinnova.

Seduta su di un tronco corroso,
d’acqua imbiancato e rinsecchito,
nel silenzio un lamento soffocato
di coralli che si strappano nel mare.
 di Giuseppina Rossitto


 La nuova mattanza

Là, dove il lilla radicato
curava coste e l’occhio fuggiasco,
attratto, ammaliato e confuso
da volteggi, latrati, porte sbarrate,

là, mi fermo, ancora a mirare.
Discosta da massi sommersi nell’acque,
fisso quel che nel remoto tempo
era usuale: una barca arenata.

Non pescatori, mattanza di tonni,
reti, nasse, fiocine o lampare.
Non leggo il nome tinto a prora,
ma tutto del trasporto mi è chiaro.

È clandestino la fresca cattura
d’ignoto pescatore, già sbandato.
Lento si spinge il banco sull’onde,
all’unisono, come polarizzato.

Il banco protegge, uniforma specie,
sincronizza velocità e movenze,
attratto da luminosa sorgente,
disorienta di fuga il predatore.

L’abbondanza giunta così alle coste
non abbatte il comune mercato.
Il pescato non soddisfa palati,
in stiva, per non respingerlo in mare.
 di Giuseppina Rossitto 


 Naufragio                                                                  
Con gli occhi asciutti prima di salpare,
ora scioglie le sue lacrime amare
in un pianto improvviso e silenzioso
per sé e per il suo carico prezioso.

Sul gravido ventre tende la mano
e la sua terra scompare lontano.
Quante paure e speranze in quel viaggio
hanno richiesto tutto il suo coraggio
per fuggire dal suo paese amato,
dalla guerra colpito e dilaniato!

Cerca rifugio in quell’angusta stiva
d’un vecchio barcone che va alla deriva.
Al fuoco, al fuoco! – grida qualcuno
 e in mare si tuffano ad uno ad uno.
Arriva soccorso, tardi per tanti,
morte impietosa ha già preso i migranti.

Uomini, donne e pure i bambini
mostrano all’aria i freddi corpicini.
Qui c’è una donna che respira ancora!
Di morire non era giunta l’ora
anche per lei e per il suo bambino,
insieme uniti in un solo destino.

Gli occhi asciutti prima di approdare,
ora piange le sue lacrime amare
tra i corpi estinti dei suoi fratelli
vittime ignare di sogni più belli.

di Daniela Bertoni


 Ombre nella notte

Alle giovani donne
immigrate con inganno

In quella via discreta,
come lampioni spenti stanno
giovani donne in mostra.

Un misero compenso
per un fugace incontro,
la macchina riparte
sempre a fanale spento.

Ci sono dei mercanti
che trattano la seta, altri
 merce di pelle umana.

Come lampioni spenti
loro, giovani donne,
sono ombre nella notte.
    di Elisabetta Freddi


 Ofelia dalla pelle d’ebano

La bella Ofelia dalla pelle d’ebano
danza nel sole, lieve come la farfalla
che ogni giorno si posa
sui fiori gialli dei giunchi
in riva al fiume.

La bella Ofelia dalla pelle d’ebano
canta col vento e la voce
si rilette nell’eco tra le foglie
dei grandi alberi della foresta
o si perde leggera tra le erbe della savana.

La giovane Ofelia dalla pelle d’ebano
disperata piange per il suo amore
disteso nel fango, per i fratelli e le sorelle
col corpo martoriato dall’ira
dei banditi venuti da lontano.

L’infelice Ofelia dalla pelle d’ebano
fugge coi piedi piagati
dalla sabbia e dai sassi nel cammino
e si nasconde, trepida, la notte
tra i rami del lentisco.

La stanca Ofelia dalla pelle d’ebano
bruciata ormai dal sole,
col cuore colmo di paura,
guarda stupita il mare sconfinato,
e nel cuore rinasce la speranza.

La misera Ofelia dalla pelle d’ebano
avvinghiata dall’onda crudele
d’un mare in tempesta
mentre l’acqua l’avvolge e la trascina
sogna di nuovo la sua lieve danza nel sole.

di Gianni Balduzzi

Quanto costa un salvagente?

Quanto costa un salvagente?
Quanto vale la mia vita?
Cento dollari in più,
per avere la debole speranza
di arrivare vivo.
Certezza non è…

Siamo affidati al destino,
si parte quando il mare è calmo,
stipati come le bestie,
con tante speranze,
troppo spesso disattese.

Vorrei un futuro migliore,
ma devo rischiare,
non posso permettermi il salvagente.
 di Daniela Cecchini


Lampedusa
                     1976 - 2013
Striscia di sabbia bianca, finissima
Uno specchio di mare caldo, salato
Una donna felice, là abbandonata
Un uomo sazio, là abbandonato.

Sole caldo di un giorno d’estate
Sole velato di un autunno iniziato
Camera piccola e letto disfatto
Camera immensa che parla di morte!

Grida di gioia miste d’amore
Grida di rabbia piene di dolore
Così era Lampedusa
Così è Lampedusa

di Mirna Magnani



 L'immigrato

Alle porte del paese
è arrivato un tipo strano:
è diverso, malvestito,
parla male l'italiano.

È solo, nessuno lo vuole,
nessuno lo chiama,
nessuno la notte lo ama.

È timido, triste, smagrito,
eppure la gente, insicura,
non sente la sua paura.

Da tutti temuto, da tutti evitato,
è solo un ragazzo affamato,
che cerca un poco di pane,
che cerca un po' di calore.

Ma è nero ed è sordo ogni cuore.
 di Maria Tiziana Dondi


Alba di morte

Avvenire incerto 
paura del buio
un brivido presagio
di sciagura.
Mare affollato
corpi leggeri sulle onde,
una strage infinita,  
camicie strappate     
lacere come le loro vite.
 di  Nella Urso


Il pescatore

Ritto sulla scogliera
a strapiombo sul mare,
con lo sguardo alle vele
che sciamano lontano,
aspetta e sospira
il vecchio marinaio.

Il viso ha bruciato
da tanti solleoni,
ha riarsi i capelli
dalla sferza del vento,
e curve son le spalle
dal peso delle reti.

Dalla sponda scoscesa
volano i suoi pensieri
sulle ali dei gabbiani
perché, di quelle reti,
le sue mani e il suo cuore
ancora reggono la cima.
di Anna Bastelli 

Stranieri

Solitari arrivano
al capezzale
stanchi.
Odore di fango,
partoriscono agnelli.
Silenziosi
attraversano confini
e la porta socchiude le labbra
in monosillabi.
Occhi di grande coraggio,
occhi pieni di vergogna,
occhi mansueti,
addestrati.
Stringo la mano
e un sorriso trapassa lo sdegno.
Vieni da lontano come me
e nessuno vede il tuo pianto,
abbiamo pianti solitari noi.
 di Marcella Colaci

Il mare

Tu… mare immenso
Tu… che baci la riva
e picchi gli scogli...
Tu, che a volte uccidi,
quando sei calmo, ridi.
Ridi di fronte al sole
e l'anima mia… tu,
colmi d'amore.
Le tue onde
son fianchi di donna,
la tua schiuma
di bimbo una bolla!
Il tuo suono è...
una dolce carezza!
Il tuo profumo
ogni piccola brezza!
Il mio cuore
guardandoti ride
la mia mente
pensandoti vede!
E tu, mare immenso,
che forse innocente
sei!
Ricordati sempre
di questi teneri anni
miei!                     
di Paola Conte

Toi, lumière dans la nuit
Ode au phare de l’îlot de Lampedusa

Par-delà les flots grisants,
par-delà les beaux nuages,
au bout de tous mes cordages,
tu es là si élégant.

Si le vent fait du boucan,
si la lune est en voyage,
et qu’éclate un bel orage,
tu es là me protégeant.

Ta présence me rappelle :
même si la mer est belle,
cruelle, elle est parfois.

Ta présence me rassure,
et dès que je t’aperçois,
je sais la route plus sûre.
di Marie-Francoise Demortier

Fra le pitture e le fotografie tutte le copertine dei Quaderni n. 3/2014
nell'ordine: di Paolo Vignini, Francesco Tiralongo, Francesco Tiralongo, Colette Cleo, René Rhode, René Rhode, René Rhode, Marcella Colaci, Marie-Francoise Demortier, Jacques Nogues, la scolaresca di Avola, Lodovico Lolli, Daniela Bertoni.




























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