Dirigenti dell'Associazione Lo Specchio di Alice

“Lo Specchio di Alice”
Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDi
versità"
Sede Sociale: presso Presidente
Dott.ssa Giuseppina Rossitto
Via Bellinzona 34
40135 Bologna
Codice Fisc. 91173810374

e mail: giuseppina.rossitto@gmail.com
e mail: rossitto.direttorequaderni@gmail.com

Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto
Vice-Presidente: Dr. Wilko Mattia Artale
Segretario: Dott.ssa Mirna Magnani
Consigliere: Prof.Federico Palmonari
Consigliere: Prof. Angelo Fortuna

Lo Specchio di Alice

Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDiversità" - APS

Associazione culturale di promozione sociale fondata nel 1998 a Bologna. Obiettivo dell’associazione è valorizzare le diversità di pensiero in momenti creativi unitari. Gli strumenti attraverso cui opera sono: I cenacoli di scrittura collettiva, narrativa e poetica, laboratori di idee che si concretizzano nella pubblicazione di romanzi collettivi; la Rivista bimestrale Quaderni-Incontri per Riflettere, che favorisce il confronto di scrittori, poeti, pittori, fotografi, musicisti e autori creativi di tutte le arti, che vogliono dare un contributo alla riflessione su temi di interesse individuale e sociale. Numerose sono le conferenze, i convegni e le presentazioni di libri di soci. La qualità di socio si acquista con il tesseramento e la partecipazione attiva alle iniziative di sperimentazione narrativa, poetica e pittorica. Le attività culturali sono gestite in regime no profit. La sede dei cenacoli è a Bologna.

Blog: http:// movimentoletterariounidiversita.blogspot.com

Per informazioni: Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto

- cell. 349 4969393 tel. 051 6447608 (ore serali)

e-mail: giuseppina.rossitto@gmail.com

RIVISTA QUADERNI ORGANO DELL'ASSOCIAZIONE

DIRETTORE EDITORIALE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO

ROMANZI COLLETTIVI

CURATRICE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO


mercoledì 10 dicembre 2014

IL MOVIMENTO LETTERARIO UniDiversità
Associazione culturale Lo Specchio di Alice

PRESENTA

GIUSEPPINA ROSSITTO
Vestita di carta pensante
Raccolta poetica

in produzione limitata e numerata
esce con 6 copertine artistiche 
dell'autrice
che illustrano il pensiero poetico delle donne










Introduzione

Un tempo scrissi: La poesia per la poesia/ non per me, non per voi/ tuttavia, so che vi troverete/ qualcosa anche di voi/ oltre al mio sentire. Ne sono ancora convinta: la poesia ha vita propria, ma è anche l’espressione di una dimensione intima del poeta, un’eredità che egli destina e affida al mondo che lo circonda.
Questo libro è frutto di diversi anni di riflessione. Parecchie poesie sono state pubblicate sulla rivista Quaderni, che dirigo, o in diversi romanzi; ho pensato di riunirle perché esprimono un percorso di ricerca tematica. Ho detto “diversi anni”. Ebbene, lo confesso: penso che la poesia mal si adatti alla penna e al foglio facili, alla quotidianità. Amo il passare ritmato del tempo, il pensiero riflessivo e non solo intuitivo. Questo mi consente di ricordare ogni verso, la dinamica della nascita, del divenire, i luoghi in cui mi sono fermata e ho tirato fuori il taccuino per appuntare sensazioni destinate, poi, a essere rimeditate, riformulate, formalizzate sopra una base robusta di tavolo.
Quando parlo di luoghi dove nascono i versi, mi riferisco soprattutto alle strade che percorro ogni giorno. In verità, questa raccolta avrei voluto intitolarla: La città che vedo e parla. Poi, ho meditato sul messaggio che volevo trasmettere, proprio fin dal titolo, e ho optato per: Vestita di carta pensante.
 Del vecchio titolo ho mantenuto la struttura in quattro sezioni: I. Nel lento andare, il pensiero che corre; II. Poema di una via che conduce ad altre vie; III. La città che vedo e parla; IV. Memorie e ombre dei luoghi che si perdono; nel nuovo, ed effettivo titolo, c’è invece la vera costruzione ed elaborazione del pensiero poetico che mi ritrae.
Il mio primo vestito è la pelle, che protegge e nasconde ogni muscolo, ogni nervo e la struttura ossea che mi sorregge. Essa può apparire coriacea, e invece è sensibile al calore, di cui fa scorta per distribuirlo con generosità. Non ho eccessiva cura nella scelta dell’abito che ricopre la mia pelle ogni giorno; non amo le preziosità, le stravaganze, piuttosto la creatività leggera. L’attenzione è al vestito delle occasioni; esso è realizzato con materiale leggerissimo, di carta pergamena, arrotolata e legata con fili di canapa e viole. Il colore che amo è il wiola (la w doppia è una licenza che mi serve per coniare una sigla). Ogni piega di questo abito custodisce un pensiero, ma per poterlo conoscere occorre sciogliere il nodo, srotolare la pergamena, respirare il profumo delle viole e infine leggere e lasciarsi trasportare dai messaggi che troverete.
Tutto questo vi sembra troppo femminile? Perché no! La narrativa e la poetica sono per me sostantivi femminili plurali. Nessuno pensi a un difetto di fattura, è uno stile ricercato e voluto.
Giuseppina Rossitto


















Biografia dell'Autrice


Giuseppina Rossitto: nata ad Avola (SR) nel 1955, risiede dal 1981 a Bologna. Dopo la laurea in Scienze Politiche, si dedica alla ricerca bibliografica, giuridica, economica e storico-sociale; in seguito svolge attività come collaboratore giuridico - amministrativo per un ente pubblico; oggi financial planner per un istituto bancario nazionale. Presidente de “Lo Specchio di Alice”, Movimento Letterario UniDiversità. Fondatrice e direttore della rivista periodica bimestrale “Quaderni”, legata a Incontri per Riflettere, cura il confronto di un numero considerevole di poeti, scrittori, pittori, fotografi e musicisti internazionali. Ha tenuto corsi di formazione per adulti. Socia e collaboratrice di riviste e associazioni culturali. Ha pubblicato: Vita nei campi incolti e inariditi, poesie, Libr. Ed. Urso, Avola, 2006; a Zonzo per pensieri, poesie e camminamenti, Ed. Il Ponte Vecchio, Cesena, 2008;  L’Amore sconosciuto. Soliloqui, romanzo poetico, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; I Viaggi del ritorno, Il Tramonto della Freccia del Sud, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; Il mare parla alla sua terra, la terra al mare, raccolta di riflessioni e racconti pubblicati sulla rivista Quaderni dal 2007 al 2014, Collana Wiola, Bologna, 2014; Vestita di carta pensante, raccolta poetica, Collana Wiola, Bologna, Corgae, 2014; Per la Collana Collettiva Wiola del Movimento Letterario UniDiversità (diretta e curata da Giuseppina Rossitto) è direttrice dei cenacoli, autrice principale e curatrice dei seguenti volumi: 28 Autori di Alice, Estetica, arte e parola. Il tratto, il colore, la luce che aprono l’esplorazione poetica, artistica e letteraria, Racconti artistici, Ed. Format Libri, Bologna, 2009; 30 Autori di Alice, Gli strani incontri nella casa rosso bolognese, romanzo collettivo, Ed. Format Libri, Bologna, 2010; 19 Autori di Alice, L’albero del silenzio e l’arbusto della parola, romanzo collettivo, CSM, Bologna, 2011; 30 Autori del Movimento Letterario UniDiversità, Fra le alture e i dirupi, noi, Romanzo collettivo artistico, Fasertek, Bologna, 2012; 15 Autori del Movimento Letterario UniDiversità, Acque di fiume e acqua di mare, Moderna, Bologna, 2013. Curatrice di raccolte poetiche edite. Autrice ed editorialista della rivista Quaderni.

Nota dell'Autrice

 Legare: autore parola poetica e immagine artistica
Parliamo di un’esigenza che non è indispensabile nella pubblicazione di un libro - tant’è vero che nessuno se l’aspetta e la maggior parte degli autori non se lo pone come problema impellente.
In editoria, il legame viene realizzato con l’immagine di copertina, la quale deve rispondere a esigenze per lo più commerciali, ovvero essere attrattiva, per fare in modo che il libro si distingua fra i tanti esposti nelle vetrine o scaffali. Non è questa l’esigenza che mi ha spinta a curare personalmente le copertine e a fare, di esse, una lettura per immagini del contenuto del libro stesso.
Come potete osservare le copertine sono sei - una specificità propria del mio modo di fare sia narrativa, rivista, che poesia. Per il primo libro che pubblicai, Vita nei campi incolti e inariditi, nel 2006, imposi all’editore due copertine, attirando tutta la sua indisposizione. Da allora non mi sono mai lasciata scoraggiare e ho continuato su questa strada, sapendo di percorrere un cammino sperimentale e innovativo nell’editoria.
Le copertine sono a coppia: le prime due - Vestita di carta pensante e Profumo di donna - sono dedicate alla specificità delle tematiche femminili, sia di pensiero che di diritti e conquiste individuali e sociali; la seconda coppia - Su piatti di rame e Orizzonte - vuole rappresentare la forza delle donne (ma direi di tutti gli individui) di saper soppesare ogni cosa, principalmente lavoro e famiglia, e di ricercare un equilibrio interiore che aiuta a raggiungere anche l’altro; la terza coppia, infine, - Una trapunta per manto e Al mare dei naufragi - è dedicata a problematiche sociali alle quali sono molto sensibile e per le quali mi adopero nel tenere viva l’attenzione, sia mia, che delle persone che riesco a raggiungere, proponendo riflessioni con la parola poetica e narrativa e l’immagine artistica e fotografica.
Altra novità, che nessun libro contiene, è la foto dell’autrice diversa in ogni libro. L’esigenza non nasce da un rapporto eccezionale con la propria figura o fotogenicità, ma dal fatto che anche le mie immagini sono state scelte per legarsi alla tematica di ciascuna copertina. In questo modo il rapporto diventa ancor più stretto, non solo fra poesia e immagine, ma anche fra libro e autore-persona che percorre le strade di ogni giorno. E allora, la dedica presente nel libro:
alla città in cui vivo sono grata
di essa non assaporo le eccellenze
ma gli spazi e i luoghi quotidiani
che pur tanto ispirano e orientano
il mio pensare.

 Preparare un dono per la tavola delle feste:
un libro

 Per necessità di costruire ogni pagina di questa rivista, ho letto tutti gli articoli che sono pervenuti e in ognuno mi sono ritrovata, nel ricordo delle tradizioni e nel senso critico o di accettazione delle novità che il progresso ci impone.
 Anche per me, i primi ricordi delle feste, soprattutto quelle di fine anno, e non solo, sono legati all’immagine di mia madre indaffarata a preparare piatti tradizionali.
Un tempo non si usava il regalo effimero, industriale, ma le feste erano occasioni per indossare un vestito nuovo, un maglione nuovo, un cappotto. Anche questo faceva mia madre, oltre a salsicce, che arrotolava su un manico di scopa per essiccare nel solaio; che immancabilmente rosicchiavamo di nascosto o strappavamo con le mani biscotti di mandorla e di farina e marmellate di mela cotogna nelle formelle di ceramica caltagironese, che nascondeva in diversi punti della casa, perché noi non riuscissimo a scovarli prima della festa tanto attesa.
Difatti, il tavolo della nostra casa - e ne avevamo solo uno, per cui, arrivati a sera, bisognava sgomberare, prima che arrivasse mio padre dal lavoro - era sempre ingombro, quando non di farina, per fare focacce e pane, da stoffe da tagliare e imbastire, da matasse di lana da aggomitolare. I vestiti finiti, poi, una volta stirati, venivano esposti sul lettone, per far godere l’occhio della creazione realizzata o farli vedere con orgoglio alle amiche.
Ricordo che, un Natale, una zia, emigrata a Bologna nel dopo guerra, che mia madre non aveva più visto e noi mai conosciuta, se non per qualche cartolina che ci si scambiava proprio in prossimità del Natale o della Pasqua, ci fece pervenire un grande pacco, che aprimmo come si fa con un forziere contenente chissà quale tesoro.
Il pacco era pieno di campionari di stoffine, quelli che i negozi o i tappezzieri buttano una volta esaurita la fornitura. Considerammo quel pacco una ricchezza. Mia madre si mise all’opera eccitatissima e prima che arrivasse il Natale, tutti i suoi bambini, di cui il più grande avrà avuto allora 8 anni, ebbero una gonnellina, un vestitino, un pagliaccetto, un camicino. Rimasero alcuni piccoli ritagli, che utilizzò a carnevale per farci i vestiti di Arlecchino.
Le persone non capivano, e le domandavano come facesse, con solo mio padre che lavorava come bracciante, a mantenerci sempre così eleganti. Soprattutto si chiedevano dove trovasse il tempo, con tanti bambini piccoli da allevare, anche per cucire, ricamare, lavorare all’uncinetto, ai ferri, ecc.
Dico ciò perché questa tradizione sento di averla portata avanti, assieme ad altri fratelli e sorelle. La stessa domanda che facevano a mia madre - Ma come fai, dove lo trovi il tempo? - me la sento ripetere tante volte da amici, parenti e conoscenti. Anch’io uso i campionari per fare piccole creazioni, non più vestiti; ho evoluto e affinato il senso di creatività ereditato dalla mia genitrice e uso le mie abilità manuali per dipingere, scolpire, scrivere, creare; ma credo di usare gli stessi principi che usava lei, ovvero: sogno, progetto, studio, riciclo, realizzo, dono. Tutte queste azioni richiedono tempo, ma non più di quanto ne richieda guardare un film, andare al cinema, a teatro, fare shopping, oziare, fare ginnastica, una passeggiata, leggere un libro, guardare una telenovelas, ecc. ecc. In sostanza penso che la domanda più giusta da fare sia: perché trovi il tempo per creare e non lo dedichi ad altre cose? Detto questo, non vi è dubbio, che ogni azione, che si aggiunga a quelle considerate di routine, trova la sua ragion d’essere nel risparmio di tempo da altre attività, compresa quella del riposo e del sonno.
Ma torniamo alla tavola delle feste. Cosa ho sognato, progettato, realizzato e mi accingo a donare alle persone che mi stanno vicino? Un libro! Per questo progetto lavoro da tempo; tanti sono stati i preparativi e le energie spese in questa direzione.
La prima operazione è stata raccogliere le tante poesie prodotte negli ultimi anni e raggrupparle in un unico file. Poi è venuto il tempo di impostarle e impaginarle sotto forma di libro. Contattare lo stampatore, farmi fare un preventivo; capire come ammortizzare la cifra richiesta; studiare la migliore soluzione fra costi, benefici; a quel punto si arriva all’aspetto estetico ed esteriore: la copertina.
Dipingo la copertina, Vestita di carta pensante, e la presento, già graficamente impostata, al tipografo, il quale mi dice: “Com’è che fa solo una copertina questa volta? E poi mi suggerisce: “Se vuole numerare i libri, io riesco a farlo, in copertina”. Ecco allora che scatta la molla. Ho passato tutta la notte a capire come potevo fare altre copertine e, prima che arrivassero le tre del mattino, ne avevo dipinte sei e l’indomani inviate via e mail al tipografo, perché realizzasse le prove di stampa.
Sei copertine dipinte dall’autore e numerate somigliano, come criterio, a un’opera d’arte, una riproduzione a tiratura limitata. E allora, se il libro diventa opera d’arte, allora va presentato come tale. Da qui l’idea del leggio che richiama quella del cavalletto espositore.
Era venerdì sera quando ho aperto l’agenda e ho iniziato a disegnare il leggio, poi su cartoncino ho fatto un prototipo, ho preso le misure perché ci andasse sopra la collezione di 6 libri, e ho pensato di farne una diecina: per me, i miei figli e le mie sorelle e fratelli. Il sabato pomeriggio decido di andate da Leroy Merlin per comprare le listarelle di abete. Immancabilmente, c’è la partita allo stadio e via Saragozza è chiusa al traffico, bisogna andare dallo stradone, cosa che odio, non essendo un’esperta automobilista di strade di larga percorribilità. L’eccitazione però è tanta, perché se ho le listarelle a casa, l’indomani, domenica, posso iniziare a realizzarli. Mi avvio, pioviggina e fa buio in men che non si dica. La paura che possa perdermi, per non aver indovinato l’uscita dallo stradone è reale, ma non mi ferma. L’uscita l’ho presa giusta, ma quando sono su via del Lavoro, al buio, non riconosco la strada, non ritrovo i punti di orientamento, penso di aver sbagliato, mi fermo appena posso ai margini della strada, scendo dalla macchina, mi guardo in giro, poi risalgo e decido che appena trovo un modo per tornare indietro, faccio inversione ma, intanto che penso questo, ecco un punto di riferimento, l’insegna della polizia. Mi convinco che sto percorrendo la giusta direzione, mi incoraggio, vado avanti, eccola la salita che porta da Leroy Merlin, all’Ikea, al Pala-Malaguti.
Tiro un sospiro di sollievo, adesso è un gioco arrivare. Parcheggio, entro, vado direttamente nella corsia delle listarelle di abete, scelgo quelle giuste e nella giusta quantità, poi provo a sentire dal falegname se me li può tagliare e dice di sì; che bello, pensa quanto lavoro mi evito con la sega elettrica. Mentre aspetto il turno, mi attirano i pannelli di compensato. Li guardo, li sfilo dallo scaffale, li misuro, mi appoggio alla catasta di assi di legno che ho dietro, tiro fuori l’agenda, incomincio a disegnare. Cosa? Una casa, ovvero una casetta per le bambole. È vero, non ho nipotini, perché quest’idea? Una casa delle bambole l’ho sempre desiderata, l’idea di poterla realizzare mi fa alzare i livelli di adrenalina. Per chi? Ma per la bambina di Antonio Marino, al quale ho chiesto di presentare il libro. Ho trovato la motivazione (la scusa!) giusta per realizzare la casetta delle bambole. Aspetto ancora il mio turno e intanto ho preso le misure, le ho segnate sui pannelli e quando, infine, arriva il mio turno faccio segare il tutto e mi raccomando che mi metta nel carrello anche lo sfido, mi servirà per i mobiletti. Ho già in mente tutto di come verrà quella casa, le seggiole, il tavolo, i letti, i divani, il camino, i quadri, i tappeti...
 Tornata a casa, non ho aspettato la domenica: “Chi ha tempo non perda tempo!”, mi sono detta. I leggii lo so come verranno, mi intriga di più la casetta. Tiro fuori gli attrezzi, la colla a caldo e inizio ad assemblare, e mentre assemblo l’ euforia mi prende perché vedo che funziona, non solo sulla carta, ma anche nella realtà. Ho impiegato tante notti a finire quella casa, due camere da letto, un bagno, un salotto, la cucina in muratura, due terrazzi, un pianerottolo con colonne, insomma ho dovuto rialzare anche il tetto perché le mansarde mi sembravano troppo basse. Ho chiesto il condono! E poi i mobili, i quadri, gli arredi, e ancora non ho finito… E i leggii?
Bisogna mettersi all’opera perché occorre incollarli, poi inchiodarli, impregnarli di colore, decorare con la pasta di mais, passare la copale, farli asciugare, confezionare… Quante notti mi occorreranno? Ma quanti farne? L’idea era dieci, ma le listarelle ci sono, beh, ne sono venuti venti. Il timore è che non bastino. Vorrà dire che durante le vacanze, invece delle salsicce e dei biscotti, farò i leggii.
Il tavolo dello studio! Accidenti, sembra il tavolo di un falegname: quanti attrezzi, colori, i leggii uno sopra l’altro; e ogni notte, ripulire e arieggiare, perché i colori fanno puzza! Ieri li ho fotografati, fatto il pdf, trasmesso via e mail e su facebook, devo rispondere alle amiche che mi dicono quale hanno scelto.
Posso dire che la tavola l’ho imbandita, i segnaposti li sta preparando Maria Grazia, angeli di ogni misura.
E gli invitati? Già bisogna preparare gli inviti! Che carta ho in casa? Le pergamene! In una delle copertine, la figura indossa un vestito di pergamene arrotolare e fissate da violette. Come invecchiarle? Le passo sopra i fornelli, scricchiolano e si lamentano i fogli, mentre si anneriscono e fanno le bolle. Anche questa è fatta, non mi rimane che realizzare le violette con la pasta di mais e attaccarle, poi stampare il retro degli inviti. Fatto, spediti, consegnati a mano.
Gli invitati! Occorre fare la lista. Chi verrà alla presentazione? Chi ordinerà il libro? La collezione da sei, quella da due, quello singolo? È un libro numerato. Questo vuol dire che ogni libro va ad una persona che conosco. A loro chiedo di custodire le mie parole, che sono documento e testimonianza del mio impegno di poeta. E allora?! E allora voglio conservarli tutti nel cuore e nella mente queste persone, voglio fare i ritratti dei miei lettori...
E il tavolo si riempie di nuovo di fogli, colori, pennelli… La festa è il 7 dicembre. Mancano pochi giorni! Ce la farò a finire? Devo farcela. Ma adesso sono le 2:36 e sono sfinita. Chiudo qui, “domani è un altro giorno!”
  
Presentazione
 di Antonio Marino
artista
Vestita di colore e parole

Relazione, presentazione del libro di Giuseppina Rossitto,

Vestita di carta pensante


 

Vestita di carta pensante, l'ultima fatica letteraria di Giuseppina Rossitto, non è solo un libro di poesie, bensì un progetto editoriale ambizioso e moderno, che mira a creare un legame forte tra poeta e lettore, un'idea dinamica con la quale l'autrice intende abbracciare tutti coloro che si apprestano a immergersi nei suoi versi, cingendoli concettualmente delle sue passioni: la poesia e la pittura.
Da questa sinergia nasce uno scambio di cultura e d’emozioni.
La pubblicazione non è pensata per grandi tirature. I libri stampati, infatti, sono in produzione limitata e numerata, con sei copertine diverse ma collegate fra loro da un dialogo ragionato che funge da insolita prefazione alle poesie.
Ogni copertina raffigura un'opera pittorica dell’autrice ed è numerata da 1 a 50. Questo, di per sé, basterebbe a rendere Vestita di carta pensante un libro da collezione. Come se non bastasse però, secondo modalità diverse, la divulgazione del testo è accompagnata anche da un apposito leggio decorato e dal ritratto di chi acquista il libro (sempre eseguito dall'autrice). L'idea si presta ad essere letta lungo canali diversi.
Il  leggio è collegato al libro in quanto oggetto e i dipinti raffiguranti le immagini di copertina rimandano al contenuto delle poesie. Delle tre possibilità elencate, il ritratto, oltre a rappresentare una sfida di abilità tecnica non facile, è  l'elemento che concettualmente unisce l'autrice a chi si trova dinanzi alle sue poesie. È come se Giuseppina volesse dire ai suoi lettori “Voi provate a conoscere, me leggendo le poesie, io scoprirò ognuno di voi ricostruendo i vostri tratti pennellata dopo pennellata.”
Lo sforzo creativo finora raccontato rinsalda l'antico legame tra  parola e pittura. Basti provare a ricordare che le stesse lettere dell'alfabeto erano in origine disegni che rappresentavano la realtà.
L'esigenza dell'uomo di raccontare e tramandare i molteplici aspetti della propria vita ha fatto sì che questi ultimi divenissero sempre più semplici, schematici, facili da riprodurre fino a trasformarsi  nelle lettere dell'alfabeto. Successivamente, in secoli in cui gli uomini alfabetizzati erano una ristretta minoranza, si era creata l'esigenza, in certi contesti, di illustrare il testo con immagini che lo spiegassero. Proviamo a pensare, ad esempio, ai fedeli presenti ad un'omelia, in una cattedrale del secolo XI, per lo più pastori e contadini analfabeti e poco inclini ad ascoltare lunghe lezioni sulla parola di Dio. La funzione didattica dell'oratore rischiava di essere inefficace. Egli però poteva avvalersi di uno strumento utile a rendere la sua lezione facilmente fruibile. Era dotato infatti di rotoli di pergamena che venivano srotolati verso il pubblico. Le miniature  stranamente erano dipinte al contrario rispetto alla parte scritta. La scrittura era infatti rivolta al sacerdote che leggeva, l'immagine ai fedeli.
Da allora sono tanti gli artisti che hanno raccontato con i propri dipinti saggi, romanzi e poesie. Uno degli esempi più illustri è probabilmente quello di Matisse quando, nel 1947, pubblicò Jazz. In esso ogni pagina è scritta e dipinta dall'artista.
   Al di là del legame che intercorre tra diverse discipline artistiche e varie idee è giusto sottolineare il peso specifico di ogni poesia presente nel libro. Il percorso verso il quale ciascuna ci accompagna forse non è semplice, e neppure immediato. Bisogna prendersi il tempo per entrarci dentro individuando specialmente simboli, metafore e analogie che evocano sensazioni istantanee provate dall'autrice e sedimentate nell'uso colto e mai banale della parola, della composizione del verso, di una cifra stilistica matura e ormai consolidata.
Si ha la percezione che Giuseppina Rossitto voglia indicare una strada lungo la quale si possa sempre avvertire la sua presenza e con essa il suo passato, il suo presente, ma soprattutto la sua visione al femminile delle cose.
Lungo questo tragitto c'è una città fatta di cose fisiche come mura, alberi, terra, mare, treni e persone che la abitano. Ci sono oggetti, voci, odori, respiri che la animano,  presenze e luoghi che appaiono senza una premessa, senza una collocazione geografica certa, dai quali, proprio per questo, è possibile evadere associando ad essi le esperienze del fruitore. Quest'ultimo può così muoversi liberamente dentro, esplorando un paesaggio che era dell'autrice e che, poco alla volta, diventa il suo.
La forza evocativa dei versi  di Giuseppina permette anche di lasciarsi andare ad un gioco affascinante, quello di provare ad accostare alcune poesie al ricco repertorio che la storia delle arti visive ci offre.
Una  lirica ad esempio rimanda ad un artista del secolo XIX  di cui libri e cataloghi parlano poco, ma che può essere considerato tra i più virtuosi ritrattisti della sua epoca, il tedesco Winterhalter. Questi era talmente bravo da ricevere commissioni dalle corti più potenti del suo tempo, avendo così la possibilità di ritrarre non solo ricchi signori ma anche e soprattutto regine e principesse. Tra le sue prestigiose modelle si annoverano, ad esempio, la regina Vittoria d'Inghilterra, Elisabetta d'Austria, conosciuta da tutti come la principessa Sissi, l'imperatrice Eugenia di Francia.
Proprio il ritratto di una regina ci aiuta a immergerci nei versi di una poesia di Giuseppina. È un'opera di Winterhalter, custodita nel Palazzo reale di Madrid, che ritrae l'imperatrice di Spagna, Isabella II. La donna è raffigurata al centro di una tela verticale di grandi dimensioni, tutta  percorsa da un drappo rosso che riveste il pavimento per divenire poi un sipario che si apre su un paesaggio raffigurante antiche rovine romane, residuo di una cultura neoclassica ancora fortemente sentita negli ambienti aristocratici. Il gradino  posto in primo piano fa sì che il pavimento appaia come un palcoscenico sul quale la regina si presenta in piedi, posta di trequarti, accompagnata con la figlia. Con la mano sinistra  tiene un pregiato ventaglio chiuso, che richiama la tradizione spagnola, mentre la destra è rivolta alla sua bimba, aggrappata al vestito materno, un'iconografia che indica come passato è futuro siano nelle sue mani.
    Lo status sociale d’Isabella è sottolineato dalla ricchezza del vestito che, oltre ad esaltare la sua eleganza, mette in luce le qualità dell’ artista. Questi era celebre proprio per la capacità di raffigurare fedelmente le pieghe e i particolari degli opulenti capi di rappresentanza, per l’abilità con cui ritraeva trasparenze, ricami e accessori. Queste sue peculiarità si evidenziano nell'abito che, anche per il suo volume, domina la scena. Lo sguardo di Isabella è dignitoso e discreto. Un po' come oggi i nostri politici parlano davanti all'obiettivo delle telecamere, rivolgendosi a spettatori che non possono vedere, ella fissa l'artista,  consapevole che quello sguardo è in realtà rivolto al suo pubblico. Da esso l'artista fa emergere tutta la fierezza della regnante, ma anche la vanità di donna nel sentirsi avvolta da tale eleganza.
 Anche alcuni versi della Rossitto sono dedicati a una regina.
La protagonista di questi versi non è in posa come quella di Winterhalter. Non vive dentro architetture rassicuranti. Il suo regno è sparso per i vicoli e le strade di una o più città, tra marciapiedi spesso maleodoranti e sprazzi di verde velati di smog. La sua storia non è custodita in libri secolari e il suo passato è incerto almeno quanto il suo futuro. Non ha sudditi pronti ad ammirarla, anzi, ella è spesso invisibile ai passanti. Un giorno però le capita di incontrare la sensibilità di una poetessa. Incrocia i suoi occhi per pochi attimi. È  una senza tetto ma, avvolta in una trapunta trovata chissà dove, in quel lasso di tempo è una regina. Il suo manto diviene l'abito più ricco che Winterhalter abbia mai  ritratto. Quell'immagine altera e al contempo fugace forse non sarà mai attraversata da colori stesi da pennellate sapienti ma, grazie a quell'incontro fortuito, potrà trovarsi “ritratta da parole” o, se vogliamo, vestita di carta pensante.          
Quei versi hanno per titolo Una trapunta per manto e recitano:

La regina nel suo manto vagava
fra le mura e il verde malato.
Da quale regno lontano venisse,
dove avesse smarrito la pace,
chi poteva saperlo: nessuno!
La città più non si meraviglia,
uno sguardo, e già non la vedi.