Dirigenti dell'Associazione Lo Specchio di Alice

“Lo Specchio di Alice”
Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDi
versità"
Sede Sociale: presso Presidente
Dott.ssa Giuseppina Rossitto
Via Bellinzona 34
40135 Bologna
Codice Fisc. 91173810374

e mail: giuseppina.rossitto@gmail.com
e mail: rossitto.direttorequaderni@gmail.com

Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto
Vice-Presidente: Dr. Wilko Mattia Artale
Segretario: Dott.ssa Mirna Magnani
Consigliere: Prof.Federico Palmonari
Consigliere: Prof. Angelo Fortuna

Lo Specchio di Alice

Movimento Letterario-Artistico Internazionale "UniDiversità" - APS

Associazione culturale di promozione sociale fondata nel 1998 a Bologna. Obiettivo dell’associazione è valorizzare le diversità di pensiero in momenti creativi unitari. Gli strumenti attraverso cui opera sono: I cenacoli di scrittura collettiva, narrativa e poetica, laboratori di idee che si concretizzano nella pubblicazione di romanzi collettivi; la Rivista bimestrale Quaderni-Incontri per Riflettere, che favorisce il confronto di scrittori, poeti, pittori, fotografi, musicisti e autori creativi di tutte le arti, che vogliono dare un contributo alla riflessione su temi di interesse individuale e sociale. Numerose sono le conferenze, i convegni e le presentazioni di libri di soci. La qualità di socio si acquista con il tesseramento e la partecipazione attiva alle iniziative di sperimentazione narrativa, poetica e pittorica. Le attività culturali sono gestite in regime no profit. La sede dei cenacoli è a Bologna.

Blog: http:// movimentoletterariounidiversita.blogspot.com

Per informazioni: Presidente: Dr.ssa Giuseppina Rossitto

- cell. 349 4969393 tel. 051 6447608 (ore serali)

e-mail: giuseppina.rossitto@gmail.com

RIVISTA QUADERNI ORGANO DELL'ASSOCIAZIONE

DIRETTORE EDITORIALE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO

ROMANZI COLLETTIVI

CURATRICE

DR.SSA GIUSEPPINA ROSSITTO


domenica 24 agosto 2014

MOVIMENTO LETTERARIO UniDiversità
COLLANA Wiola
di scrittura collettiva
curata da Giuseppina Rossitto

SELEZIONA
 SCRITTORI, POETI,  PITTORI


CONVEGNO 
IL MARE DEI NAUFRAGI E DEGLI APPRODI

ALCUNE IMMAGINI DELLA MOSTRA
 E DEL CONVEGNO
CENTINAIA DI VISITATORI
40 AUTORI A CONFRONTO
 E 2 SCOLARESCHE

LA POETESSA GIUSEPPINA ROSSITTO
In rappresentanza di tutti i poeti del Movimento Letterario UniDiversità
si fa ambasciatrice di pace, di accoglienza, e di difesa dei diritti umani
leggendo e consegnando al vento e alle acque del Mediterraneo
le poesie sul "Mare dei naufragi e degli approdi"
Avola 1- 3 agosto 2014
presenti: 
Comandante Mar. S. Fortuna della Capitaneria di porto
Il Sindaco G. Cannata
L'autorità religiosa Padre Caruso
La delegazione di Marinai Bammino
Gli amministratori del Comune di Avola
Dei civili










 La cesta contenente le poesie dentro un contenitore di vetro destinato alle acque del mare


Visitatori della mostra poetica e dei Quaderni





Momenti del convegno

I nuovi soci durante il Convegno: 

Avv. Roberta d'Aquino di Catania


Avv. Luca Caldarella  Avola-Catania


Dr.ssa Franca Puglisi Avola 




Stefano Magro, Avola


Luisa Caruso, Udine












Giuseppina Rossitto e il sindaco di Avola Gl Cannata

RELAZIONE PRESENTATA AL CONVEGNO
DALLA PRESIDENTE
GIUSEPPINA ROSSITTO
Pubblicata sulla Rivista Quaderni n. 3/2014


Un patto
con il mare patrigno,
una condanna
per i traghettatori
di fantasmi

 Si disperde lo sguardo fra gli scogli;
tutto sereno, né rabbia né violenza,
nessuna lotta ingaggiano le onde.

È lì che vorrei sostare, camminare,
sulla sabbia liberata dalla marea.
Col mondo assente, un patto col creato:

nella sabbia non farmi sprofondare,
nel mare non mi ingoiare, ma conchiglie
per suoni che il vento portò lontano.

L’ultimo mio incontro con il mare risale a metà maggio. Ho passeggiato in compagnia di Chiara su una spiaggia libera del litorale ferrarese. Il passaggio della bassa marea era ancora visibile nelle tante conchiglie, vongole e ostriche approdate, com’è naturale, sulla spiaggia e che scricchiolavano sotto i sandali, ricavando persino piacere nel contribuire ad arricchire la rena del luccichio madreperlato. L’ambiente selvaggio era ancora dominante, considerata la bassa stagione, tronchi e rami secchi e sbiancati coprivano parti importanti dei costoni, da rendere intricata la pineta selvatica e irraggiungibili i cespugli di more. Il mare, neanche a dirlo, è l’Adriatico, limaccioso e scuro, da non incoraggiare l’immergersi nelle sue acque, neppure i soli piedi. Eppure...
L’altro recente ricordo è del mese di marzo. Questa volta era il mare Ionio, il mare di Sicilia, visto dalla strada, di sera, all’uscita da un ristorante sul porto. L’amico Sebastiano, ricordo, commentò, aprendo i polmoni: “È impossibile pensare un giorno di svegliarsi e non trovare il mare. Fa parte della nostra vita, del nostro respiro. Si attende l’arrivo del tempo giusto, e poi, il piacere d’immergersi nelle sue acque. Impagabile!”
Anch’io sono nata in un’Isola, e forse non ho avuto molto tempo per apprezzarla: non le colline e i brulli monti, non li conoscevo, non li vivevo; non la luminosa campagna, non la possedevo, non la vivevo, e ciò che di essa sapevo era il sacrificio del duro lavoro bracciantile, le lotte, la morte per la difesa del lavoro; quanto al mare, quell’immensità azzurra spesso confusa con il cielo, che come muro d’acqua determinava il confine brillante della strada in cui vivevo, forse l’ho respirato, ma mai esaltandone i benefici effetti di aria e iodio, quanto il senso dell’immensità, la burrascosità, l’inarrestabile moto, uniche sostanze immateriali ereditate. Le ho portate con me queste sostanze, quando ho deciso che si poteva volare oltre il mare, cosciente e consapevole di trovare la terra ferma, stabile, sicura, da conquistare con la sola forza della volontà e del lavoro quotidiano, non per le sostanze materiali, che peraltro non possedevo.  Era tutto da costruire, persino da inventare, giorno dopo giorno, solo la libertà di scegliere era una certezza.
Le tante traversate, di qua e di là della terra ferma, erano accompagnata anche per me sempre da un grande respiro; non credo servisse a far scorta d’aria, ma annunciava cambiamento, benché raramente sommovimento rivoluzionario dell’esistenza.
Nel tempo ho avvertito che il piccolo bagaglio immateriale che ho portato con me non era poca cosa, tutt’altro. Ho avuto spesso la sensazione di aver riempito un otre, non di vento, ma di moto ondoso e di non aver resistito dall’aprirlo e dall’ esserne invasa, fin quanto non ho avuto la forza di richiuderlo e nuovamente riaprirlo… e poi ancora...
Non è stato facile capire cosa fosse più importante, in questo viaggio aldilà del mare, se la continuità dell’essere o il cambiamento nel vivere. Ancor ieri mi sono trovata a discuterne con Marinella e siamo arrivati a scomodare Gramsci. E oggi, riflettendo ancora su questi due concetti - continuità o cambiamento - mi chiedo se non sia illusorio un progetto di cambiamento personale che non sia accompagnato da un percorso parallelo che interessi il contesto sociale, il modo di pensare, di vivere, di agire della società del nostro tempo.
Per tornare al mare nostrum,  allora mi chiedo, di fronte agli animi audaci che rivendicano, con la forza della libertà o con la debolezza della sofferenza, il superamento dei confini territoriali e di poter godere della libertà e dell’eguaglianza, presupposti del mondo globalizzato: li abbiamo realizzati o stiamo lavorando perché la libertà e l’emancipazione dallo sfruttamento siano effettivi?
La mia formazione laica mi dice che la ricerca di una risposta al quesito debba trovarsi primariamente in un sentimento umanitario, etico, di ricerca continua e di conoscenza dell’ umano. Da qui partire per edificare sistemi politici, giuridici, improntati alla difesa dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli.
Rispondo allora all’amico Sebastiano.
 È penoso pensarlo, ma il piacere rilassante del mare, il sole delle spiagge, l’odore di alghe e di sale non mi coinvolgono con uguale intensità, e non solo per la lontananza territoriale. Il fatto è che, naufragio dopo naufragio, cresce in me un senso di avversione per il mare “patrigno” e, al contempo, un sentimento di rispetto per quelle acque, che considero oramai un luogo consacrato al culto dei naufraghi inghiottiti, fantasmi che invadono le nostre coscienze e chiedono giustizia, ogni giorno e ogni notte.
Oggi noi siamo testimoni di una grande ingiustizia e dobbiamo tutti fare qualcosa, occuparci di questo grande male sociale, non girarci dall’altra parte. Non sarà ignorando la natura funesta del mare e decantando il chiarore e il calore delle acque e il candore dei gabbiani che resteremo poeti. Il poeta denuncia non ignora, il poeta canta il dolore, non piange, il poeta “costruisce l’uomo nuovo”, alimenta del fuoco della passione le coscienze.
I conoscitori del mare nostrum dicono che esso è un mare-autostrada, sempre affollato di natanti come nei peggiori momenti di punta. Mi chiedo allora come sia possibile, non che avvengano i naufragi, che, come gli incidenti stradali, aumentano con l’aumentare del traffico ma che nessuno si accorga che, giorno dopo giorno, centinaia di persone salpano con “barconi fatiscenti”. Sì, mi chiedo come sia possibile, in un mondo dove i satelliti registrano anche le targhe delle macchine parcheggiate davanti alle nostre case, che passino inosservati flussi migratori irregolari così ingenti e così costanti, ormai da oltre vent’anni.
Quando detti alle stampe i Viaggi del ritorno. Il tramonto della Freccia del Sud, dissi che le antenne della Freccia del Sud e della Freccia del Sole si erano trasferire ancora più a Sud di Palermo e Agrigento, si erano spinte nel Mediterraneo. Ma le Frecce della nostra passata migranza erano regolari, mezzi pubblici di Stato, benché si viaggiasse stipati, con la valigia di cartone e forse anche con qualche maglione di più addosso, per trasportare più cose possibili, sempre che fossero possedute, poiché si andava verso le terre fredde, nebbiose e nevose di Milano, della Svizzera, Francia, Belgio, Germania.
L’indignazione che proviamo oggi, ancor più di ieri, è per l’essere di fronte a un commercio di schiavi, di una “merce assicurata”, visto che il trasporto è pagato in anticipo e con moneta sonante a organizzazioni criminali di scafisti da condannare.
Per fortuna il mio occhio è risparmiato della visione diretta di naufragi e del raggiungimento delle immediate coste da parte dei sopravvissuti, sebbene lo spirito venga ugualmente atterrito dalle immagini quotidiane della cronaca e dai servizi di denuncia. Più spesso, anzi quotidianamente, vedo il dopo approdo.
Vivo in una città tra le meglio gestite e organizzate con riguardo all’accoglienza e ai servizi sociali, eppure non vi è giorno in cui esca di casa che non veda, a ogni angolo di strada, nelle panchine, davanti ai bar, per le piazze, sotto i portici, per le strade, ai semafori, nei parcheggi dei supermercati persone sane, bei giovani, di ogni lingua, di ogni paese, stendere la mano, lamentarsi, chiedere, esibire cartelli, vendere cose inutili, insomma, mendicare. Ad essi si aggiungono rom, drogati, spacciatori, prostitute di ogni colore lungo i viali sul calar della sera e lungo le strade provinciali ad ogni ora del giorno e della notte.
Io non so come sono arrivate queste persone né da dove, né se si fermeranno e per quanto tempo; so che necessariamente bisogna reagire a queste massicce richieste, e lo facciamo, spesso, girandoci dall’altra parte. La coscienza rimorde, ma ci diciamo che non si può dare a tutti e la scelta è spesso “per nessuno”. Eppure dovremmo sempre più sentirci coinvolti verso questi problemi, trovare soluzioni sociali di volontariato e di accoglienza, per favorire integrazione e conoscenza.
Nella realtà odierna, noi, moderati o progressisti - la differenza in verità non è marcata - spesso “chiudiamo gli occhi”; preferiamo ignorare la realtà di chi ci accosta e li vediamo apparire come figure incorporee, eteree. Il primo sentimento è il timore, ma ci confortiamo sapendo che ci sfioreranno, per poi sparire in un’altra strada, in un altro luogo… in un altro paese.
Già, è diventato di moda pensare che i “fantasmi” sono solo “di passaggio”; non è il nostro Paese la loro destinazione, ma la più grande Europa, il Nord dell’Europa industrializzato.
Ma è proprio così? O è solo una rassicurazione per sviare lo sguardo dalle nuove sacche di proletariato rurale e urbano che, sotto i nostri occhi appannati, rischiano o sono già diventate anche sacche per il reclutamento della malavita organizzata e del caporalato, ancora duro da estirpare.
Voglio ricordare, andare indietro con la memoria, e chiedermi: “Da quando abbiamo iniziato a vedere e valutare i processi migratori non in senso attivo, ma come fenomeno subito?”
Rientro fra le persone fortunate poiché non ho traumi legati a questo fenomeno, piuttosto un ricordo solare e tonante, la voce del mio bimbo, di soli sette anni, che saluta una sua compagna di classe, mentre fa capolino fra le colonne del portico, all’uscita di scuola. Era la primavera del 1997, e le scuole elementari “accusarono” la venuta in massa - ma ne bastava anche solo uno per parlare di immigrati - di bambini extracomunitari. L’anno prima erano state accolte due bambine filippine e quell’anno fu la volta di una bambina albanese. Gli arrivi dall’Albania facevano molta paura, erano le prime “carrette del mare”, i primi gommoni che portavano centinaia di persone in Italia, spinti dalla loro crisi economica, dovuta al fallimento di una serie di società finanziarie, e dall’idea che il nostro Paese fosse “da favola”, così come telenovelas e pubblicità facevano vedere alla tv. Il mare dei naufragi quella volta era l’Adriatico, pattugliato costantemente dalla Marina militare. Il pattugliamento non era servito a evitare un naufragio, anzi fu proprio una nave della Marina militare, la “Sibilla”, a speronare, nel tentativo di scoraggiarne le manovre, un vecchio pattugliatore di origine sovietica, carico di oltre 100 persone, donne, uomini e bambini, che andò a picco in men che non si dica.
La bambina e i suoi genitori, la mamma maestra e il papà muratore, erano invece arrivati, non avevamo mai chiesto come. Li guardavamo con sospetto, nonostante la ricercata e ordinata, benché modesta, eleganza della madre. Il padre invece non esitava a chiedere se avessimo dei lavori da fargli fare, salvo lasciarli a metà per una qualche ragione. La bambina lasciava invece i segni sulle braccia dei compagni. Forse l’impossibilità ad esprimersi nella nuova lingua la spingeva a usare la bocca non per parlare ma per dare morsi. E i morsi aumentarono con la distanza che prendemmo, genitori e bambini, di fronte all’ aggressività della nuova arrivata. Non ricordo se finì l’anno con noi, o furono prese misure o trasferimenti. L’attenzione fu distratta dall’arrivo di un altro bambino extracomunitario, ma non era dell’est, né di un altro paese povero o belligerante, era un americano. Le cose cambiarono subito, l’accoglienza fu massima e le mamme ci facevamo in quattro per invitare il bambino e i genitori a casa o fuori. Era come respirare l’America, imparare una parola in più di inglese!
Finita la scuola invitammo lui, la sorellina e la mamma a trascorrere una giornata insieme al mare. Con la mia 126 verde ci avviammo alla volta di Cesenatico ma, andando dalla provinciale e non dall’autostrada, chissà come fu, ci perdemmo e, dopo aver attraversato territori suggestivi acquosi e paludosi, nonché saline, ci ritrovammo nei liti ravennati. Si scottarono la pelle chiara, benché vestiti, ma fu una giornata che cimentò un’amicizia che dura fin’ora. Il mare unisce!
Da quel 1997 sono passati 17 anni di arrivi di bambini extracomunitari nelle scuole bolognesi. La buona volontà dei genitori di creare integrazione non è bastata. L’amico Sergio, direttore didattico, m’informa che è stato istituito un Centro comunale di supporto all’alfabetizzazione, che si occupa anche di ricongiungimento familiare e di asilo politico e che dà indicazioni alle scuole dei bambini che sono in arrivo e devono essere inseriti nelle classi. Il censimento riguarda anche i bambini non “regolari” che vengono comunque inseriti nelle scuole, e quelli nati nel nostro territorio.
Non vengono predisposti programmi distinti per questi bambini, ma si sfruttano le ore di compresenza degli insegnanti per destinare loro più tempo. Il Comune offre inoltre delle figure professionali di alfabetizzatori che lavorano, uno su uno, per l’ insegnamento della lingua italiana. C’è stato in questi anni passati un tentativo di istituire una classe di soli stranieri, ma è rientrato subito.
Ciò che è certo è che la presenza di stranieri nelle scuole è un fenomeno destinato a permanere e ad aumentare. Dati relativi al quinquennio scorso parlano di percentuali attorno al 7% a livello nazionale e attorno al 12% per Bologna e provincia, con punte attuali intorno al 30% in alcune scuole di quartieri a maggiore concentrazione di immigrati residenti.
Il fenomeno migratorio nella sua complessità, a livello locale, nazionale e globale rappresenta una caratteristica strutturale delle attuali società, destinata a permanere e ad accompagnarci nel prossimo futuro. Questo significa prima di tutto che la presenza dei migranti sul territorio non riguarda unicamente le questioni legate alla prima accoglienza, alla sanità, all’inserimento nel mercato del lavoro, ma l’organizzazione della società nel suo complesso: dal sistema di protezione sociale a quello scolastico, dagli aspetti politici a quelli culturali; circostanza che implica la necessità di comprendere l’evoluzione del fenomeno nelle sue diverse sfaccettature, sia dal punto di vista dei soggetti migranti che delle società che accolgono.
Gli ultimi arrivi nelle coste delle nostre isole e regioni del sud ci dicono  che i bambini, peraltro privi di genitori e senza nessuna possibilità di identificarne l’origine familiare o sociale, sono in tragico aumento. Dobbiamo perciò sforzarci di affrontare con nuovo coraggio e solidarietà il fenomeno esponenziale di bambini e donne trasportati nei barconi e, fortunatamente, sfuggiti alla ferocia della guerra, dei trafficanti e del mare.
Il 22 maggio, 133 bambini non accompagnati sono arrivati a bordo di un barcone fatiscente e portati in salvo a Pozzallo dalle operazioni di salvataggio della Marina militare. Penso al coraggio di questi piccoli eroi; penso ai traumi che la loro mente conserverà per sempre; penso al coraggio delle madri e dei padri che hanno trovato la forza di imbarcarli da soli, sperando di assicurargli la vita e un futuro. Sono madri snaturate o madri coraggio?
Non diamo nulla per scontato, pensiamo solo a un dato: in Siria, in tre anni di guerra si sono avuti oltre 100.000 vittime; 2 milioni e mezzo di profughi; 9 milioni e 300 mila persone in emergenza; sono oltre 11.000 i bambini morti dall’inizio del conflitto, spesso uccisi da bombe ma anche finiti nel mirino di cecchini e a volte torturati. Lo rivela un rapporto dell’Oxford Research di Londra, della fine del 2013, che cita anche “esecuzioni sommarie”: delle 11.420 vittime sotto i 17 anni, 2.223 sono morti nella zona di Aleppo, 389 sono stati uccisi da un cecchino, 764 “sommariamente giustiziati” e più di 100 sono stati “torturati”.
Se ipotizzassimo di mettere in fila, sdraiati per terra, i corpi delle 11.420 vittime minorenni della guerra in Siria copriremmo tutta la costa da Siracusa ad Avola.
Questi bambini non possono essere rimandati indietro. Nessuno può essere rimandato indietro!
Il senso dell’ospitalità che distingue il nostro popolo non può mancare di fronte a un’emergenza di questa natura. Diversamente sarebbe come dire che la storia non ci ha insegnato nulla e che i nuovi campi di concentramento si sino trasferiti nelle profondità del mare nostrum, e noi sbadatamente non abbiamo capito che di questo si tratta, di nuovi e sempre diversi sistemi di sopraffazione di caste su caste, oligarchie su masse, sistemi economici su altri.
Voglio sperare che questi bambini, durante il viaggio, possano aver sognato di essere capitani, ufficiali, mozzi dell’ultima traversata del vecchio vascello sequestrato ai pirati, e che, una volta approdati sulla nuova terra, possano procedere al disarmo della nave e alla sua distruzione. Voglio sperare che di fronte alle acque tenebrose, nascondendo il volto con le mani fra le gambe e assopendosi, abbiano ricreato nella mente la cara immagine del volto delle loro madri, delle loro sorelle, dei loro padri, del loro paese, delle loro strade, dei loro giochi. Spero che possano seppellire nella memoria, per un tempo sufficiente a diventare uomini e donne, i silenzi malinconici e prolungati, il mugghiare delle onde, il rumore dei motori in avaria, e che un giorno, volgendo lo sguardo verso il passato, possano narrare la loro “avventura”, popolata di mostri che hanno sconfitto con la forza e la voglia di vivere in un paese pieno di solidarietà stesa al sole.


 FRA LE POESIE LETTE AL CONVEGNO SI RICORDANO


 Il lamento dei coralli

Un altro giorno lungo s’annuncia,
di pattuglia su coste e su mare.
Non pesci a guizzare dalle acque,
a riempire le stive delle navi.

Si vive nel silenzio dell’attesa,
l’ennesima tragedia degli umani.
Pietas per il guardiano del mio mare,
la stessa che si prova per gli eroi.

L’animo tante volte fu marcato
dal miasma di atroce sofferenza.
Voragine si apre nel suo cuore,
per celare visi e corpi lesi.

Ti aspetterò, guardiano del mare,
che importa quanto dovrà passare.
Sarò con te a reggere le mani
che afferrerai, che solleverai.

Per sguardo che pietoso implora,
per il pianto che ora trova sfogo,
suggerirò parole di conforto,
t’aiuterò a contener la pena.

Condividi con me questo dolore.
Non seppellirlo nel profondo cuore
perché nessuno possa mai cercarlo,
mai ritrovarlo, o mai più cantarlo.

Voglio piangere, di pianto dirotto,
stringerti a me e portarti via, via.
Afferrarti la mano, trattenerti,
ma nei tuoi occhi luce già rinnova.

Seduta su di un tronco corroso,
d’acqua imbiancato e rinsecchito,
nel silenzio un lamento soffocato
di coralli che si strappano nel mare.
 di Giuseppina Rossitto


 La nuova mattanza

Là, dove il lilla radicato
curava coste e l’occhio fuggiasco,
attratto, ammaliato e confuso
da volteggi, latrati, porte sbarrate,

là, mi fermo, ancora a mirare.
Discosta da massi sommersi nell’acque,
fisso quel che nel remoto tempo
era usuale: una barca arenata.

Non pescatori, mattanza di tonni,
reti, nasse, fiocine o lampare.
Non leggo il nome tinto a prora,
ma tutto del trasporto mi è chiaro.

È clandestino la fresca cattura
d’ignoto pescatore, già sbandato.
Lento si spinge il banco sull’onde,
all’unisono, come polarizzato.

Il banco protegge, uniforma specie,
sincronizza velocità e movenze,
attratto da luminosa sorgente,
disorienta di fuga il predatore.

L’abbondanza giunta così alle coste
non abbatte il comune mercato.
Il pescato non soddisfa palati,
in stiva, per non respingerlo in mare.
 di Giuseppina Rossitto 


 Naufragio                                                                  
Con gli occhi asciutti prima di salpare,
ora scioglie le sue lacrime amare
in un pianto improvviso e silenzioso
per sé e per il suo carico prezioso.

Sul gravido ventre tende la mano
e la sua terra scompare lontano.
Quante paure e speranze in quel viaggio
hanno richiesto tutto il suo coraggio
per fuggire dal suo paese amato,
dalla guerra colpito e dilaniato!

Cerca rifugio in quell’angusta stiva
d’un vecchio barcone che va alla deriva.
Al fuoco, al fuoco! – grida qualcuno
 e in mare si tuffano ad uno ad uno.
Arriva soccorso, tardi per tanti,
morte impietosa ha già preso i migranti.

Uomini, donne e pure i bambini
mostrano all’aria i freddi corpicini.
Qui c’è una donna che respira ancora!
Di morire non era giunta l’ora
anche per lei e per il suo bambino,
insieme uniti in un solo destino.

Gli occhi asciutti prima di approdare,
ora piange le sue lacrime amare
tra i corpi estinti dei suoi fratelli
vittime ignare di sogni più belli.

di Daniela Bertoni


 Ombre nella notte

Alle giovani donne
immigrate con inganno

In quella via discreta,
come lampioni spenti stanno
giovani donne in mostra.

Un misero compenso
per un fugace incontro,
la macchina riparte
sempre a fanale spento.

Ci sono dei mercanti
che trattano la seta, altri
 merce di pelle umana.

Come lampioni spenti
loro, giovani donne,
sono ombre nella notte.
    di Elisabetta Freddi


 Ofelia dalla pelle d’ebano

La bella Ofelia dalla pelle d’ebano
danza nel sole, lieve come la farfalla
che ogni giorno si posa
sui fiori gialli dei giunchi
in riva al fiume.

La bella Ofelia dalla pelle d’ebano
canta col vento e la voce
si rilette nell’eco tra le foglie
dei grandi alberi della foresta
o si perde leggera tra le erbe della savana.

La giovane Ofelia dalla pelle d’ebano
disperata piange per il suo amore
disteso nel fango, per i fratelli e le sorelle
col corpo martoriato dall’ira
dei banditi venuti da lontano.

L’infelice Ofelia dalla pelle d’ebano
fugge coi piedi piagati
dalla sabbia e dai sassi nel cammino
e si nasconde, trepida, la notte
tra i rami del lentisco.

La stanca Ofelia dalla pelle d’ebano
bruciata ormai dal sole,
col cuore colmo di paura,
guarda stupita il mare sconfinato,
e nel cuore rinasce la speranza.

La misera Ofelia dalla pelle d’ebano
avvinghiata dall’onda crudele
d’un mare in tempesta
mentre l’acqua l’avvolge e la trascina
sogna di nuovo la sua lieve danza nel sole.

di Gianni Balduzzi

Quanto costa un salvagente?

Quanto costa un salvagente?
Quanto vale la mia vita?
Cento dollari in più,
per avere la debole speranza
di arrivare vivo.
Certezza non è…

Siamo affidati al destino,
si parte quando il mare è calmo,
stipati come le bestie,
con tante speranze,
troppo spesso disattese.

Vorrei un futuro migliore,
ma devo rischiare,
non posso permettermi il salvagente.
 di Daniela Cecchini


Lampedusa
                     1976 - 2013
Striscia di sabbia bianca, finissima
Uno specchio di mare caldo, salato
Una donna felice, là abbandonata
Un uomo sazio, là abbandonato.

Sole caldo di un giorno d’estate
Sole velato di un autunno iniziato
Camera piccola e letto disfatto
Camera immensa che parla di morte!

Grida di gioia miste d’amore
Grida di rabbia piene di dolore
Così era Lampedusa
Così è Lampedusa

di Mirna Magnani



 L'immigrato

Alle porte del paese
è arrivato un tipo strano:
è diverso, malvestito,
parla male l'italiano.

È solo, nessuno lo vuole,
nessuno lo chiama,
nessuno la notte lo ama.

È timido, triste, smagrito,
eppure la gente, insicura,
non sente la sua paura.

Da tutti temuto, da tutti evitato,
è solo un ragazzo affamato,
che cerca un poco di pane,
che cerca un po' di calore.

Ma è nero ed è sordo ogni cuore.
 di Maria Tiziana Dondi


Alba di morte

Avvenire incerto 
paura del buio
un brivido presagio
di sciagura.
Mare affollato
corpi leggeri sulle onde,
una strage infinita,  
camicie strappate     
lacere come le loro vite.
 di  Nella Urso


Il pescatore

Ritto sulla scogliera
a strapiombo sul mare,
con lo sguardo alle vele
che sciamano lontano,
aspetta e sospira
il vecchio marinaio.

Il viso ha bruciato
da tanti solleoni,
ha riarsi i capelli
dalla sferza del vento,
e curve son le spalle
dal peso delle reti.

Dalla sponda scoscesa
volano i suoi pensieri
sulle ali dei gabbiani
perché, di quelle reti,
le sue mani e il suo cuore
ancora reggono la cima.
di Anna Bastelli 

Stranieri

Solitari arrivano
al capezzale
stanchi.
Odore di fango,
partoriscono agnelli.
Silenziosi
attraversano confini
e la porta socchiude le labbra
in monosillabi.
Occhi di grande coraggio,
occhi pieni di vergogna,
occhi mansueti,
addestrati.
Stringo la mano
e un sorriso trapassa lo sdegno.
Vieni da lontano come me
e nessuno vede il tuo pianto,
abbiamo pianti solitari noi.
 di Marcella Colaci

Il mare

Tu… mare immenso
Tu… che baci la riva
e picchi gli scogli...
Tu, che a volte uccidi,
quando sei calmo, ridi.
Ridi di fronte al sole
e l'anima mia… tu,
colmi d'amore.
Le tue onde
son fianchi di donna,
la tua schiuma
di bimbo una bolla!
Il tuo suono è...
una dolce carezza!
Il tuo profumo
ogni piccola brezza!
Il mio cuore
guardandoti ride
la mia mente
pensandoti vede!
E tu, mare immenso,
che forse innocente
sei!
Ricordati sempre
di questi teneri anni
miei!                     
di Paola Conte

Toi, lumière dans la nuit
Ode au phare de l’îlot de Lampedusa

Par-delà les flots grisants,
par-delà les beaux nuages,
au bout de tous mes cordages,
tu es là si élégant.

Si le vent fait du boucan,
si la lune est en voyage,
et qu’éclate un bel orage,
tu es là me protégeant.

Ta présence me rappelle :
même si la mer est belle,
cruelle, elle est parfois.

Ta présence me rassure,
et dès que je t’aperçois,
je sais la route plus sûre.
di Marie-Francoise Demortier

Fra le pitture e le fotografie tutte le copertine dei Quaderni n. 3/2014
nell'ordine: di Paolo Vignini, Francesco Tiralongo, Francesco Tiralongo, Colette Cleo, René Rhode, René Rhode, René Rhode, Marcella Colaci, Marie-Francoise Demortier, Jacques Nogues, la scolaresca di Avola, Lodovico Lolli, Daniela Bertoni.




























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