Registro, nel tempo, gli stessi comportamenti negli autori: inizialmente smarrimento - il tema sembra insostenibile - poi una lunga assenza, pensi che ognuno stia meditando, in verità si è occupati in mille altre cose e il pensiero del tema da affrontare non sfiora che pochi; negli ultimi dieci giorni verso la scadenza, la scarica di interventi; qualcuno lo devi aspettare fino all’ultima ora, quasi sempre gli stessi!
Ma ora, riguardo le 52 pagine della rivista e provo soddisfazione: un’altra creatura è nata con la bellezza di 12 copertine. Ed eccoci qui! 44 autori. Tanti? Pochi? A cosa rapportare questa quantità? E la qualità? Quale il parametro di giudizio?
Quante cose mi chiedo questa notte, a chiusura dei lavori. Ma balenano nel mio pensiero anche domande inquietanti: perché questi appuntamenti, perché tanto lavoro, a che serve, a chi serve?
Tutto lascia intuire stanchezza, scoramento, come quando, durante una gara, hai, sì, finito la partita, e magari con un buon risultato, ma quanta fatica, quanto sudore, ti senti spossato. Qualche spettatore magari lo sorprendiamo a dire: “È pazza, ma chi glielo fa fare!”
Dicevo, stanchezza: della mente, che deve leggere, memorizzare, curare, impostare decine di testi, di immagini, entrare in ogni contenuto per vederne la bontà, la freschezza, che non vi sia nulla di banalmente scontato; poi lo sforzo per far rientrare alcuni nell’argomento, cercarne le ragioni. Al lavoro della mente si aggiunge quello del corpo: la perdita di sonno, la tendinite al braccio e alla mano, a furia di tenere il mouse costantemente fra le dita, gli occhi costretti alla luce notturna e al riverbero del video del computer. Ma non è finita, bisogna sollecitare gli autori ritardatari: scriveranno, non scriveranno? A distanza di pochi giorni dalla chiusura “nessun dorma”, diremmo, e invece c’è anche chi non risponde alle mail di sollecito. E allora quante pagine verranno? Richiamarli? E se ti giudicano pedante, insistente...!
Tutto questo dopo una giornata di lavoro, di fatiche accumulate per guadagnare il pane quotidiano. E intramezzando l’impegno “giocoso” con i tanti altri che richiede la conduzione della famiglia, della persona, del tempo libero e del legittimo riposo. Rinunciando ai fine settimana in libertà, a qualche cinema, incontro con amici. “Sono sotto scadenza!”, questo spesso mi sentono dire le amiche che mi chiamano ancora, nonostante i rifiuti. Cos’è dunque tutto questo, e perché farlo?
Si chiama volontariato, attività gratuita, no-profit, dice la normativa che regola questo fenomeno, svolta da soci e per i soci in spirito mutualistico. Sembra implicito lo scambio di attività, come un passaggio di palla di mano in mano, una banca di risorse.
Allora vediamolo da vicino questo fenomeno finalizzato a prodursi e riprodursi, a investire e reinvestire per gli scopi organizzativi: si chiama organizzazione senza scopo di lucro.
Per i giovani, di cui abbiamo una bella rappresentanza, useremo il termine inglese No Profit Organization (NPO); se vogliamo sentirci vicini ai nostri fratelli spagnoli, dobbiamo parlare di Organización sin ánimo de lucro (OSAL) (mi piace il riferimento all’ánimo); il corrispondente francese è Association à but non lucratif (BNL).
Pur avendo origini medievali l’espressione coniata e derivante dal termine latino lucrum, è solo in tempi a noi molto vicini che la nozione di no-profit ha preso piede, soprattutto nei paesi più sviluppati, assieme ad una maggiore coscienza per le attività di solidarietà.
Gli enti che arricchiscono il mondo del no-profit hanno natura giuridica differente, a seconda dell’ organizzazione e degli scopi specifici che vogliono perseguire. La legge italiana ha disciplinato cinque differenti tipi di organizzazioni private che operano, senza fini economici, con finalità solidaristiche e sono:
- le organizzazioni non governative (legge n. 49/87);
- le organizzazioni di volontariato (legge n. 266/91);
- le cooperative sociali (legge n. 381/919;
- le fondazioni ex bancarie (legge n. 461/98);
- le associazioni di promozione sociale (legge n. 383/2000).
Di tutte queste formule organizzative, mi soffermerò su due: le organizzazioni di volontariato; e le associazioni di promozione sociale.
Per organizzazione di volontariato s’intende ogni organismo liberamente istituito che si avvale dell’attività di volontariato, che si presume prestata in modo personale, spontanea e gratuita, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro, anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.
In Italia le associazioni di volontariato censite nel 2005 sono 21.021, di cui oltre il 60% è nata dopo il 1999. Si sviluppano prevalentemente nel campo dell’emarginazione, dell’assistenza e delle condizioni di degrado degli individui.
Veniamo adesso alla formula che più ci compete: l’associazionismo di promozione sociale. Essa si caratterizza per il fatto che gli individui si associano per perseguire un fine comune non di natura commerciale. La valenza sociale è molto simile a quella delle organizzazioni di volontariato, con la differenza nella possibilità riconosciuta di poter remunerare, in via eccezionale, i propri soci e nella natura mutualistica dei servizi rivolti ad essi, anche se è indubbio che oggi le associazioni non si limitano solo alla soddisfazione degli interessi e dei bisogni degli associati, ma presentano un’apertura al sociale, operando promozioni della partecipazione e della solidarietà attiva.
Dati Istat, che devono essere valutati per difetto in quanto non recentissimi, dicono che in Italia le associazioni no-profit sono oltre 200.000. Il loro proliferare è sicuramente in stretta relazione con la crisi del sistema politico che, contenendo notevolmente la spesa pubblica nei settori dove più si esplica l’associazionismo, di fatto, favorisce l’incremento mutualistico, e con esso il proliferare dell’impiego remunerato di lavoratori (con formule spesso precarie), che supera il 3% della forza lavoro totale, senza considerare i più di 3.000.000 di volontari.
I settori nei quali maggiormente proliferano le associazioni no-profit sono: cultura, musica, letteratura, teatro e arte; sport e ricreazione; erogazione di servizi di assistenza, istruzione e sanità; tutela dell’ambiente; tutela della pace e dei diritti.
Ora che abbiamo delineato per sommi capi i profili differenziatori e caratterizzanti, entriamo dentro questo fenomeno e vediamo come si organizza la vita associativa, facendo anche riferimento alle specificità della nostra associazione: Lo Specchio di Alice, che gode sempre più attenzione da parte di nuovi e potenziali soci. È un modo se vogliamo per ripercorrere la storia della nostra associazione.
Ebbene, iniziamo con il dire che, perché possa parlarsi di forma associativa riconosciuta e non riconosciuta, dotata di autonomia organizzativa, gestionale e patrimoniale, occorre una forma giuridica, ovvero un atto scritto (atto costitutivo) e uno statuto nel quale devono, fra l’altro, essere indicati gli scopi, che si intendono in modo semplificativo e non esaustivo, escludendo dagli stessi il perseguimento di scopi lucrativi.
Le attività dell’associazione devono essere tese alla realizzazione di interessi a valenza collettiva, intesi come valori in cui si può identificare sia il singolo socio che l’intera collettività dei soci. Tale attività deve intendersi continuativa, questo carattere differenzia le associazioni dai comitati, che invece sono occasionali e finalizzati ad un obiettivo specifico, raggiunto il quale non hanno ragione di esistere più. Sempre sull’attività dobbiamo specificare che essa è svolta in modo prevalente in forma gratuita dagli associati, pur potendo, l’ associazione, avvalersi, anche ricorrendo ai propri soci, di personale retribuito (autonomo o dipendente) in casi di particolare necessità.
Dunque, dobbiamo partire dall’Atto Costitutivo che fu firmato nel lontano 22 settembre del 1998 alle ore 15,30, presso il Centro Sociale “Villa Torchi”, di Via Colombarola, dove si riunirono 39 persone stimolate e guidate dal Prof. Stefano Benassi, nominato primo presidente. Quei 39 soci, rileggendo gli atti e i documenti associativi, mi sono apparsi animati da grandi entusiasmi, fervore, tanto che la loro attività nel breve lasso di un anno portava a circa 400 soci che aderivano e seguivano i corsi presentati, di cui lo stesso Prof. Benassi, ma anche la Prof. Loretta Secchi, e il Prof. Cossarini, erano soci e principali artefici. Ma, sempre negli atti, si legge anche il loro rammarico, le inquietudini, le incomprensioni, la voglia di abbandonare, la voglia di cambiare, di sterzare, le difficoltà di accettare degli aut aut, poi le dimissioni, le rielezioni, e nuovamente sgomitate, collaborazioni, programmazioni. Di quei soci fondatori, molti si sono dispersi, per motivi di età soprattutto, qualcuno è passato a miglior vita, qualcuno, nel frattempo, essendo passati dodici anni, ha concentrato l’attenzione su altre cose, o semplicemente si è allontanato. Ma un buon nucleo rimane ancora, a volte ancorato al passato, a volte recettivo o entusiasta ai cambiamenti. Abbiamo registrato, come ogni formazione che si rispetti, qualche sgomitata, ma soprattutto un ricambio nel tempo, come è giusto che sia per le associazioni, che non sono proprietà di nessuno se non degli scopi che perseguono e delle energie umane che riescono a coagulare attorno all’idea fondante.
Lo Statuto approvato in sede di costituzione (1998) prevede la promozione di attività culturali, con il particolare obiettivo della integrazione sociale e della formazione ed educazione permanente di ogni cittadino.
Lo statuto dispone che le attività riguarderanno, in particolare, l’organizzazione di corsi, laboratori, seminari, convegni, dibattiti, e altri momenti di confronto culturali relativi alla scrittura creativa e argomentativi, nel campo della poesia, della narrativa, del teatro e del pensiero filosofico, agli studi storici e sociali, alla riflessione teorica e pragmatica che accompagna l’attività critica nell’ambito estetico delle arti in genere (arti visive, musica, danza) e alle forme di espressione corporea, che configurano una dimensione di approfondimento e di ricerca delle motivazioni esistenziali, individuali e/o sociali, volte al miglioramento della propria condizione mentale e fisica.
L’Associazione si impegna a promuovere specifiche ricerche di carattere teorico nel campo della letteratura, della critica e delle arti, del pensiero filosofico, degli studi storici e sociali. E in relazione alle suddette attività, potrà curare la redazione e l’edizione di volumi o di periodici di carattere scientifico o divulgativo.
Il valore democratico deve caratterizzare ogni forma sociale e ogni comportamento individuale e sociale.
È importante soffermarci su questo concetto: democrazia. E difatti esso è considerato dalla legge requisito indispensabile attorno al quale deve svilupparsi la formula associativa, tanto che non sono ammessi organi direttivi di tipo monocratico, gestioni accentratrici e poco trasparenti, peggio ancora ibride.
Un ordinamento democratico presuppone quindi la remissione alla base associativa delle decisioni di maggior rilievo per la vita dell’associazione: l’elezione degli amministratori, l’ approvazione dei rendiconti, le modifiche statutarie, lo scioglimento dell’associazione, la parità dei diritti e dei doveri dei soci, ecc. Tutto questo si traduce nel coinvolgimento dei soci alla vita comune, nell’ascolto delle assonanze e delle discordanze. Un coinvolgimento che vuol dire dunque presenza, condivisione, in altri termini capacità di saper assolvere la funzione di autogestione. Vuol dire conoscenza del comune interesse che è poi alla base della costituzione in associazione. E questa conoscenza si concreta in atti formali e in altri concreti, di vicinanza e di presenza.
Quando, e spesso, uso l’espressione “base attiva”, o “partecipazione attiva”, con riferimento a ogni attività che abbiamo messo in piedi in questo triennio di presidenza che volge al termine, voglio proprio dire che la democrazia associativa non deve trasformarsi in “consumo di servizi”, a volte ingordo, pensando di trasformarci in contenitori recettivi di nozioni e informazioni. Tale atteggiamento ci renderebbe molto simili ai telespettatori con la tv accesa tutto il giorno, tenuti saldi alla postazione dalla paura di perdere il mondo che passa veloce e ci lascia o che lasciamo inesorabilmente e trepidamente.
La partecipazione democratica vuol dire dunque dare il meglio di sé stessi, esprimere sentimenti concreti, di condivisione, di fratellanza, di solidarietà. Vuol dire muoversi con convinzione apportando un contributo fattivo per l’edificazione di questo augurato e ricercato mondo migliore, soprattutto di relazioni migliori. Forse questa è anche la strada per alleggerire le nostre tensioni e andare alla ricerca di una serenità che ci rende più soddisfatti la sera quando chiudiamo la nostra giornata e che ci fa svegliare con più voglia di vivere la mattina dopo.
E tuttavia, la base associativa, l’assemblea dei soci, ancor più se molto estesa, ha bisogno di esprimersi, nel concreto raggiungimento dei fini, attraverso organi di mediazione e di governo, che si raggiungono con un atto di delega, di fiducia, di rappresentanza.
Gli organi di governo e i rappresentanti legali delle associazioni si assumono perciò il peso e la responsabilità di tradurre in azioni le volontà espresse nelle sedi opportune dalla base sociale.
Se facile non è il compito delle assemblee, dove le assenze, le lontananze da quelli che sono ritenute erroneamente incombenze burocratiche e amministrative, sono il vero e costante problema che mortifica qualunque attività volontaria, non meno difficoltà si registrano nel tenere saldi e fermi in un tempo di medio periodo i gruppi direttivi volontari, ovvero che non ricevono compensi che stimolano alla presenza e all’attività.
Spesso perciò le associazioni crescono e si fortificano attorno alla leadership di presidenti con spiccato senso organizzativo, che tengono in piedi, con poche sostanze finanziarie e con altrettante poche risorse umane, progetti sociali di rilievo.
La nostra associazione, pur non essendo immune da questi difetti diffusi, vanta un forte nucleo di attivisti, appassionati di scrittura ad autori, patrimonio associativo. Il permanere nel tempo di questa forte componente attiva si deve senza dubbio alla scrittura, narrativa, poetica e saggistica, da ultimo anche alla pittura, e alle tante persone che si sono prodigate perché questa scrittura, da mero racconto di sé, diventasse strumento di coinvolgimento, di informazione e di comunicazione.
Questo noi sappiamo fare e per questo siamo nati, per ritrovarci attorno alla scrittura. E per ogni attività abbiamo adottato un motto coniato con l’unione di tre elementi fondanti della nostra azione: lasciare testimonianza e documento a chi viene dopo di noi.
È proprio perché abbiamo raccolto e conservato con cura ogni documento sulla vita associativa che possiamo ricostruirla in qualsiasi momento ed essere di supporto alle dirigenze che ci succederanno; è proprio perché abbiamo conservato le immagini delle nostre attività che possiamo fare un bilancio sulla condivisione delle stesse; ed è proprio perché abbiamo raccolto ogni scritto, ogni racconto, ogni poesia dei nostri soci, con i “Quaderni rossi di Alice”, con “Ali New-Informa”, con la Collana di narrativa “La mia voce da grande”, con la rivista “Quaderni”, con la nuova formula del Romanzo Collettivo, che possiamo constatare e riflettere su quanto siamo cresciuti insieme, quanto siamo stati costanti, quanto ci siamo evoluti, quanto siamo grandi!
Per tutto questo, oggi mi sento di dire con orgoglio patriottico che siamo “giovani e forti”, ma che non siamo ancora morti né moriremo, perché abbiamo intrapreso, con l’inizio del nuovo decennio, un nuovo percorso di condivisione della scrittura e siamo aperti a quanti vogliono condividere con noi questo cammino culturale di INCONTRI PER RIFLETTERE.
Voglio cogliere questa occasione di chiusura dell’anno sociale per ringraziare tutto il gruppo dirigente, sia quelli in carica che quelli decaduti, con il quale ho condiviso il mandato triennale, le scelte e le gioie dei risultati ottenuti: Gianni Balduzzi, Mirna Magnani, Daniela Bretoni, Gabriella Orlando, Maria Grazia Gagliardi, Caterina Guttadauro, Morena Scanabissi, Maria Luigia Di Stefano.
Un ringraziamento a tutti i soci che hanno seguito e condiviso le numerosissime iniziative e a quanti ci hanno seguito e sostenuto in quest’avventura poetica narrata su semplici fogli bianchi e più spesso a colori.
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